Negli Stati Uniti la prigione è considerata il luogo in cui si paga il proprio debito con la società: la «retribution». Non quello in cui ci si riabilita. Ha fatto dunque scalpore il successo di tre detenuti del carcere di massima sicurezza Eastern New York, i quali hanno battuto per ko la squadra della snobissima Università di Harvard. La squadra dei detenuti era composta da tali Carl Snyder, Dyjuan Tatro e Carlos Polanco, che avevano goduto di una borsa di studio del Bard College di New York, una benefica istituzione sostenuta dalla Fondazione Ford. In che consisteva la sfida? In un dibattito condotto con le regole che ormai i ragazzi americani imparano a scuola: sostenere una tesi e distruggere quella avversaria rispettando tempi, regole e stile.
Il tema proposto era: è giusto o no che la scuola pubblica accolga i figli degli immigrati clandestini? Ebbene, i ricchi e sofisticati studenti harvardiani sostenevano che la scuola pubblica deve accogliere tutti senza distinzione, mentre i tre avanzi di galera (non meno colti di loro) hanno detto che neanche per sogno: lo sanno loro, che hanno vissuto la strada, le bande, la violenza, quanto sia sciagurato accogliere i figli degli illegali senza documenti e credere di essere buoni
soltanto per aver scelto di chiudere gli occhi. Arbitri e pubblico non hanno avuto dubbi: i tre galeotti hanno vinto. E con loro ha vinto il rispetto della realtà. L'ipocrisia politically correct è invece uscita umiliata.
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