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La "spirale balcanica" e i rischi per l’Europa

A pochi chilometri da Belgrado sono stati organizzati i primi campi di addestramento per jihadisti. Vi spieghiamo cosa sta realmente accadendo in Bosnia

La "spirale balcanica" e i rischi per l’Europa

Dai Balcani continuano a giungere notizie poco rassicuranti sulla presenza di focolai jihadisti ed è ancora una volta la Bosnia a far notizia. Il sito serbo Novosti.rs ha reso nota l’esistenza di potenziali campi di addestramento degli estremisti islamici a soli 250 km da Belgrado, citando in particolare l’area di Osve, un remoto agglomerato wahhabita di poche case sperduto in mezzo alle montagne e alle foreste nel cantone Zenica-Doboj e luogo ideale per l’addestramento. Secondo Novosti.rs da qui sarebbe partita una dozzina di volontari unitasi alle file jihadiste in Siria.

Bosnia Today ha invece reso noto che diversi jihadisti legati all’Isis avrebbero acquistato terreni nella zona di Osve; tra questi figurerebbero anche Jasin Rizvic (attualmente in Siria a combattere) e Harun Mehicevic, wahhabita con cittadinanza australiana e originario di Mostar, a capo del centro islamico “al-Furqan” di Springvale South, più volte finito nel mirino dell’anti-terrorismo australiano. Mehicevic pare sia in procinto di lasciare l’Australia per rientrare in Bosnia dove, secondo fonti serbe, avrebbe avuto contatti in passato con Avdullah Hasanovic, indagato per l’attentato dello scorso 27 aprile alla stazione di polizia di Zvornik. Le operazioni “Damasco” e “Ruben”, messe in atto dalla SIPA bosniaca a settembre 2014 e maggio 2015, gli arresti di diversi imam in Kosovo e Albania, in molti casi con legami diretti o indiretti con ambienti islamisti balcanici in Italia e i “pellegrinaggi” di Bilal Bosnic (tra gli arrestati) in vari centri islamici in Italia, da dove sono tra l’altro partiti per la Siria diversi volontari balcanici, sono tutti elementi che dimostrano la pericolosità di una rapida radicalizzazione di alcuni ambiti islamisti nei Balcani: un’escalation che va ormai ben oltre il livello ideologico-propagandistico e che io definisco “Spirale Balcanica”.

Con tale termine faccio riferimento a un processo ben preciso che ha avuto inizio con la guerra di Bosnia (1992-1995) in concomitanza con l’afflusso di jihadisti stranieri nell’area per combattere a fianco dei musulmani contro serbi e croati. Dopo gli accordi di Dayton del 1995 molti di questi jihadisti restarono nel paese, sposarono donne del posto e ottennero la cittadinanza bosniaca, creando così delle vere e proprie enclaves wahhabite. In seguito il fenomeno, su scala più ridotta, ha coinvolto anche Kosovo e Albania in concomitanza con i relativi conflitti, ma anche Macedonia e Sangiaccato serbo.

La "spirale balcanica" si può suddividere in quattro fasi:

1- Tra il 1992 e il 1995, durante la Guerra di Bosnia, quando numerosi jihadisti arabi, molti dei quali ex mujahideen in Afghanistan e legati a gruppi terroristi nordafricani quali la Gamaa al-Islamiyya e il Gia, accorsero in Bosnia per combattere a fianco dei musulmani locali, nella speranza di trasformare il conflitto di matrice etnica in una jihad alle porte dell’Europa. Una presenza che non fu tra l’altro priva di tensioni con i bosniaci, preoccupati da un flusso così numeroso di combattenti arabi che predicavano un Islam radicale, ben lontano da quello etnico-culturale, spesso legato alla tradizione sufi praticata in Bosnia.

2- In seguito agli accordi di Dayton del 1995 che posero fine al conflitto, molti mujahideen rimasero in Bosnia, sposarono donne del posto, ricevettero la cittadinanza bosniaca e diedero vita a piccole enclaves wahhabite in zone come quella di Zepce, Zenica, Bihac, Teslic, Osve, Gornja Maoca. In queste zone vivono oggi numerose famiglie che seguono alla lettera l’ideologia wahhabita e applicano la sharia in modo letterale; non si mescolano con i “miscredenti” e l’accesso è assolutamente precluso a chiunque non sia un wahhabita e non sia referenziato.

3- All’inizio degli anni 2000 diversi ex combattenti residenti nel paese si improvvisarono imam e iniziarono a predicare l’ideologia wahhabita, grazie anche a sostanziosi finanziamenti ricevuti da varie ONG, associazioni caritatevoli e benefattori, spesso con sedi nei paesi del Golfo. Con l’arrivo di internet i predicatori iniziarono a sfruttare il web per tessere reti e fare proselitismo, non soltanto nei Balcani ma anche nei paesi dell’Europa occidentale, prima fra tutti l’Austria, dove vi è una vasta diaspora balcanica e dove ancora oggi predicano imam di origine bosniaca come Ebu Tejma e Fadil Porca.

L’Italia stessa ha visto in più occasioni la presenza in diversi centri islamici di predicatori radicali come Mazzlam Mazzlami, Idriz Bilibani e Bilal Bosnic, quest’ultimo attualmente in carcere in Bosnia e ritenuto dagli inquirenti italiani il possibile reclutatore di cittadini balcanici residenti in Italia, arruolatisi nelle unità jihadiste in Siria.

I predicatori radicali si resero conto di poter facilmente far leva su quello strato della popolazione in difficili condizioni socio-economiche: non soltanto ex combattenti delusi dalla situazione post-guerra, ma anche e soprattutto le nuove generazioni che si trovavano a dover fronteggiare disoccupazione e corruzione dilagante.

4- In seguito allo scoppio delle “Primavere arabe” e della guerra civile in Siria, molti volontari dei Balcani sono partiti per unirsi alle milizie jihadiste, sia qaediste che dell’ISIS e dando vita a vere e proprie unità composte in prevalenza da combattenti balcanici, come ad esempio la brigata guidata dal sanguinario Lavdrim Muhaxheri. E’ la prima volta che un numero così elevato di musulmani provenienti dai Balcani si mobilita per andare a combattere una guerra all’estero.

Il rischio è che i jihadisti balcanici nelle file dei qaedisti e dell’ISIS rientrino nei propri paesi d’origine e utilizzino le tecniche apprese sul campo di battaglia per destabilizzare i Balcani e per penetrare all’interno dell’Unione Europea, grazie anche allo scarso presidio di alcuni confini, con l’obiettivo di compiere attentati contro quei paesi e quelle società considerati “nemici dell’Islam”, o meglio, della loro visione radicale e totalitaria dell’Islam. Uno scenario che si è già verificato a suo tempo in Algeria, Cecenia ed Egitto con i jihadisti ti ritorno dall’Afghanistan.

Il video di oggi, nel quale alcuni jihadisti provenienti dai Balcani lanciano minacce contro gli “infedeli” in Serbia, Macedonia, Bosnia, Albania e Kosovo, è un segnale allarmante perché dimostra le intenzioni dei terroristi, cioè di “esportare” il conflitto nei propri paesi di origine.

Uno scenario estremamente preoccupante anche per l’Italia.

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