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Ancora in Afghanistan. Ecco perché

A pochi giorni dal bombardamento americano dell'ospedale di Kunduz, stiamo per tornare in Afghanistan. E vi spieghiamo perché, ora come mai, ne vale la pena SOSTIENI IL REPORTAGE

Ancora in Afghanistan. Ecco perché

Ci sono posti che non possono essere dimenticati e tanto meno, giornalisticamente trascurati. Posti che entrano ed escono dalle luci dei riflettori dei media italiani come cavallini a dondolo. L’Afghanistan è uno di questi, un paese che sembra lontano, eppure così vicino a noi. Lontano per la sua cultura diversa, per il suo fascino antico che ci avvolge non appena si esce da una grande città, per la sua storia sempre di lotta e orgoglio tanto da sconfiggere perfino Alessandro Magno e da lì in poi, tutti i grandi eserciti che hanno provato ad addomesticare un popolo che non ha padroni. Eppure così vicino a noi, con la missione italiana nel nord ovest, un paese nel cuore di migliaia di soldati italiani. Nel cuore degli operatori umanitari che hanno guardato i tramonti viola di Kabul mentre aiutavano la gente a sopravvivere, a curarsi, a studiare, a concedersi la possibilità di un futuro che non fosse armato.

E’ una storia maledetta quella degli afgani e abbiamo bisogno di voi per raccontarla (SOSTIENI IL REPORTAGE). Un Paese dove non si smette mai di combattere, dove i talebani non si stancano, dove la droga resta uno dei pilastri dell’economia del paese, dove le donne lottano per affermarsi e gli uomini per affrancarsi. L’Afghanistan che dopo 14 anni di guerra non riesce ancora a camminare da solo sulle sue gambe. Con i talebani che arraffano territorio, con i Signori della Guerra pronti ad combattere in nome di quella stabilità che riguarda solo loro, con l’ombra di un Isis che gode nel caos. E dall’altra parte una società civile tutta da scoprire, fatta di scrittori, pensatori, politici, giornalisti, che si destreggiano tra minacce ed attentati, che mangiano pane e coraggio e che più di chiunque altro meritano di essere raccontanti. Voci di strada, voci di corridoio nei palazzi fatiscenti, ma brulicanti della politica e della diplomazia, voci di persone che credono che l’Afghanistan meriti il suo posto nel mondo.

Insieme al fotorporter Alessandro Rota, racconterò Kabul, gli afgani, le speranze, le delusioni, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che hanno troppo entusiasmo per non farcela. Incontreremo ragazze ancora bersaglio degli uomini, ma che sembrano trasparenti ai proiettili, invincibili per la loro forze e le loro idee. E uomini che non odiano le donne, medici che continuano ad aiutare sapendo quanto sia rischioso dormire sotto i cieli affollati di bombe, sportivi, attori, cantanti. Un Afghanistan tutto da conoscere, nuovo, ma ancora intriso di passato, un paese che corre, e che si ferma al suono di ogni esplosione, cade, sanguina, si guarda in dietro e poi in avanti e ricomincia a correre, con il dolore nel cuore e un futuro tutto da costruire davanti a sé. Conscio che le scelte che si faranno in questo periodo, determineranno la politica, la stabilità e la sicurezza regionale e forse anche internazionale, dei prossimi decenni.

Per raccontare in presa diretta questo Paese che soffre ma che vuole rialzarsi abbiamo bisogno di voi: permetteteci di essere ancora una volta i vostri occhi della guerra.

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