L'Unione Europea potrebbe mettere definitivamente in discussione il sistema di quote obbligatorie fra i vari Paesi membri per l'accoglienza dei migranti.
A dare un colpo di piccone a quella che - almeno sulla carta - è stata la principale politica europea sull'immigrazione degli ultimi anni è il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che parlando all'Europarlamento a un dibattitto sui risultati del Vertice di settimana scorsa ha spiegato che il sistema di quote obbligatorie potrebbe "mettere gli Stati membri in un conflitto permanente".
Parole pesanti, che riecheggiano quelle pronunciate appena pochi giorni fa, quando Tusk aveva spiegato che il sistema attuale "non ha futuro", in barba alla recente decisione della Corte di giustizia europea che non più tardi di cinquanta giorni fa aveva respinto il ricorso anti-quote presentato da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia.
In quell'occasione i giudici di Lussemburgo definirono "irrinunciabile" la ripartizione dei richiedenti asilo in modo equo fra i 28 Stati membri. Una linea sempre sostenuta dall'Italia, che in diverse occasioni ha richiamato le autorità europee a una più efficacia sorveglianza sull'implementazione delle quote, non applicate se non in minima parte.
Oggi però l'intervento del presidente del Consiglio europeo mette nuovamente a repentaglio la sopravvivenza di un sistema pensato per alleggerire la pressione sui Paesi di primo arrivo come Italia e Grecia.
Sulle quote "il consenso è tanto improbabile oggi quanto lo era molti mesi fa", ha spiegato Tusk, che invece si è detto ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo sulla riforma del Trattato di Dublino, oltre che sulla protezione delle frontiere esterne e di una strategia comune nei confronti dell'Africa.Certo, per giudicare bisognerà aspettare i risultati. Che però, sino ad ora, non hanno certo sorriso al nostro Paese.
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