MONK KIDD La badessa della letteratura pop

Da due anni nella classifica bestseller del «New York Times», sei milioni di copie, traduzioni, premi, film-tv: è la scrittrice cult della «Bible Belt»

Quell’area meridionale degli Stati Uniti detta «Bible Belt», considerata il gigante evangelico Usa, comincia a produrre bestseller da classifica del New York Times e anche a esportarli. La prova? Secondo seimila tra librai e bibliotecari e una certa quantità di lettori statunitensi votanti l’attribuzione del neonato premio «Quill Award», pezzi da novanta come Philip Roth, Isabel Allende e Nick Hornby valgono meno di una dolce scrittrice nata e cresciuta nella minuscola cittadina di Sylvester, Georgia, dal profetico nome Sue Monk («monaco»), sposata Kidd, che ha fatto di spiritualità e fede “motivazionale” la chiave di volta del proprio successo.
Due anni nella lista dei bestseller del New York Times con il primo romanzo, The secret life of bees. Da sei mesi in lista con il secondo, appena pubblicato in Italia da Mondadori, L’isola degli aironi bianchi. In totale, quasi sei milioni di copie vendute solo negli States. E poi adattamenti televisivi, traduzioni in 23 Paesi e premi su premi. L’ultimo, il «Quill Award» appunto, glielo ha consegnato il 22 ottobre scorso a New York la scrittrice Erica Jong per L’isola degli aironi bianchi. Mica male per una che la stampa, americana, definisce «adatta ai fan dei nicholases, Sparks (quello di Le parole che non ti ho detto) ed Evans (quello di L’uomo che sussurrava ai cavalli)». Mica male per un romanzo di cui lo stesso New York Times decreta «Se un computer fosse stato programmato per combinare romance, spiritualità, natura, turismo e automutilazione violenta, avrebbe prodotto più o meno questo» e il New York Daily dice «Un Harlequin travestito da promessa editoriale». Insomma, alla faccia dei commenti elitari dei giornalisti culturali, pare che la pop literature americana - target femminile ça va sans dire - abbia trovato la sua nuova mistress.
Eppure Sue Monk Kidd non è affatto un nome nuovo per una grossa fetta di donne americane. Con oltre tre milioni di sottoscrittori, distribuito gratuitamente in ospedali ed enti militari, il mensile religioso Guidepost si colloca tra i primi periodici degli Stati Uniti, con la mission di «ispirare un numero sempre maggiore di persone al raggiungimento del proprio potenziale spirituale e di fede». Nel numero di questo mese, il Guidepost, fondato nel 1945 dal pastore newyorchese Norman Peale, autore del bestseller motivazionale The Power of Positive Thinking, ripubblica un “classico”: The Boy with the Golden Hair, Il ragazzo dai capelli d’oro, racconto autobiografico di un’apparizione mistica nel giorno del Ringraziamento. È il primo articolo di Sue, uscito sempre a novembre ma nel 1979, anno in cui la scrittrice che un mese fa Laura Bush ha invitato alla Casa Bianca era ancora solo una mamma e un’infermiera, modello di devozione per i cristiani evangelici, dedita alla preghiera e alle faccende domestiche.
Cresciuta in una chiesa battista, sposata al suo fidanzatino del liceo poi studente di teologia Sandy Kidd, Sue Monk tiene un diario sul suo rapporto con la fede sin da piccola. Ma fino ai trenta è troppo impegnata coi bambini e il lavoro per scrivere “sul serio” e per indagare il suo rapporto con la spiritualità. Affezionata lettrice del Guidepost, come tutti gli abitanti della contea di Anderson, South Carolina (proprio sotto l’Alleghany County della Carolina del Nord in cui si coltiva la determinata testolina della timorata Charlotte Simmons dell’ultimo romanzo di Tom Wolfe), dove ha vissuto per vent’anni, un giorno Sue invia alla rivista il racconto The Boy with the Golden Hair e in capo a un anno diventa collaboratrice fissa. Lo rimarrà per quindici anni, durante i quali avverrà anche quella “svolta spirituale” che la porterà a scrivere i suoi primi veri bestseller, recensiti in tutta la «Bible Belt», da Atlanta a Charleston, la cittadina del South Carolina in cui vive ora: God’s Joyful Surprise (1988) e When the Heart Waits (1990), entrambi memoir della sua crisi devozionale e della scoperta della dimensione contemplativa della cristianità, e The Dance of the Dissident Daughter (1996), che, ben prima di Dan Brown e delle ipotesi del suo Codice Da Vinci, rimette in discussione il ruolo della donna, e della femminilità, nella religione cristiana.
Al punto che Sue non nasconde la sua ricerca della “dea” perduta, o della “deità materna”. E farcisce i suoi bestseller di una serie di petizioni iconografiche: se sfogliamo L’isola degli aironi bianchi, infatti, troviamo rosari, immaginette, preghiere, ex voto e pittoresche vite dei santi disseminati ovunque come i sassolini bianchi della favola. La strada da ritrovare, in questo caso, è quella dell’aspetto femminile del divino «per ricostituire l’equilibrio in una Chiesa patriarcale», come affermò la stessa Monk in un’intervista di qualche anno fa.

Che il pellegrinaggio sacrale di cui sopra sia poi spesso mescolato con qualche scappatella alla Uccelli di rovo, come quella della quarantenne Jessie che nell’Isola degli aironi bianchi cede alla passione per il monaco benedettino Thomas, non guasta certo alla liberazione motivazionale che lenisce le sofferenze della «casalinghitudine». E figuriamoci se guasta a un bestseller.

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