Montecarlo, appartamento in regalo E Fini ci mette il fratello della Tulliani

La contessa Colleoni regalò a Fini l’appartamento per sostenere la "battaglia del partito". La casa dei misteri faceva gola a tutta Monaco

Montecarlo, appartamento in regalo 
E Fini ci mette il fratello della Tulliani

Da Monterotondo a Montecarlo. Il gran premio immobiliare Colleoni-Fini-Tulliani durato undici anni, corso a milletrecento chilometri di distanza, accende il verde ai semafori nel lontano 1999 allorché la contessa Anna Maria Colleoni, discendente del celebre capitano di ventura, il 12 giugno muore nella sua tenuta di Monterotondo, a venti chilometri da Roma. Dieci giorni dopo la dipartita, aperto il testamento, si scopre che Alleanza nazionale erediterà beni per due miliardi e mezzo di lire, ivi compreso l’appartamento del Principato di Monaco attualmente occupato da Giancarlo Tulliani, «cognato» di Gianfranco Fini.

La città di Monterotondo dalla fine della guerra è sempre stata amministrata dalla sinistra, da cui il soprannome di Stalingrado del Centro Italia. È qui che la nobildonna coltivava i suoi interessi e l’amore, sviscerato, per la politica. Da sempre fervente fascista, figlia di fascisti, Anna Maria Colleoni non faceva mistero delle sue simpatie destrorse tant’è che gli esponenti locali di Alleanza nazionale la adottarono e ne difesero le istanze nei confronti del Comune contro il quale, di tanto in tanto, la signora si confrontava per problemi di confinato, vincoli e di potenziali espropri della sua terra ricca di albicocche. Tanto era il trasporto per la fiamma di Giorgio Almirante che quando, a metà degli anni ’90, le si prospettò l’occasione di incontrare a tu per tu Gianfranco Fini in una saletta riservata del ristorante Villa Ramarini prenotato per festeggiare l’elezione dell’allora consigliere comunale Roberto Buonasorte (oggi alla Regione con la Destra di Storace) non si fece pregare due volte.
Scortata dal futuro consigliere Marco Di Andrea, la contessa andò incontro a colui che riteneva il degno erede della sua antica fede e stringendogli le mani gli sussurrò che quando sarebbe morta il partito avrebbe ereditato ogni suo avere: «Caro Gianfra’, se te comporti bene quando me moro te lascio tutto. Da camerata a camerata». Gianfranco Fini, molto carinamente, fece gli scongiuri. «Stia serena, camperà cent’anni». Lei ricambiò l’augurio mantenendo gli impegni. A dicembre del 1997 prese carta e penna e stilò un testamento olografo, che poi recapitò, via pony express, al notaio Giuseppa Spadaro. Un unico foglio, ventidue righe scritte personalmente a penna.

Chissà, forse immaginando quel che Fini avrebbe combinato nel tempo, aggiunse una postilla tutta da leggere. «Io sottoscritta Anna Maria Colleoni dichiaro liberamente di nominare erede universale dei beni mobili e immobili che mi appartengono al momento del mio decesso, il partito Alleanza nazionale nella persona del suo attuale Presidente on. Gianfranco Fini come contributo per la buona battaglia».

La «buona battaglia» a cui la contessa si riferiva sicuramente nel 1997, e fors’anche nel 1999, probabilmente non era quella che Fini sta ancora finendo di combattere. Ne sono convinti i vecchi camerati di Monterotondo che alla Colleoni intestarono il circolo di An in via Fratelli Bandiera (ex Santucci), in gran parte transitati con Storace, il resto confluiti nel Pdl. Talmente convinti che, alla luce di quel che sta emergendo in queste ore, rileggendo attentamente le volontà della nobildonna sta maturando l’idea di portare in tribunale l’erede universale.

Come fare? Gli ex aennini Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte sono i capofila di questa «rivolta» anche perché si sentono traditi dal loro vecchio partito che mai si preoccupò di consultare i politici locali sull’opportunità di utilizzare in loco parte dei proventi delle vendite degli immobili ereditati per realizzare opere sociali a cui la stessa contessa teneva tanto. «Un dato è certo. Tra il ’97 e il ’99 la Colleoni donò tutto al partito, e a Fini in subordine, in nome della buona battaglia. Una buona battaglia che Fini ha condotto sino ai giorni della morte della contessa, tant’è che la signora non ha mai revocato il testamento del ‘97. Dai primi anni 2000, però, Fini ha cambiato pelle a partire da certe, plateali, prese di distanza di valori storici della destra». Ecco il punto. Il punto della «buona battaglia», sul piano giuridico, sarebbe un «onere» ineludibile, interpretabile ai sensi dell’articolo 647 del Codice civile che testé recita: «Onere: tanto all’istituzione di erede (in questo caso il partito, ndr) quanto al legato può essere apposto un onere». Come dire: io ti lascio questo patrimonio e tu lo devi utilizzare per la «buona battaglia» voluta dalla contessa. «L’onere impossibile (…) rende tuttavia nulla la disposizione se ne ha costituito il solo motivo determinante», e in questo caso la «buona battaglia» lo è.

Ma c’è di più. Di Andrea e Buonasorte fanno notare come l’articolo successivo, il 648, offre un’indicazione importante su come avviare la pratica per l’annullamento dell’atto. «Leggete bene. Si dice che “per l’adempimento dell’onere può adempiere qualsiasi interessato”, dunque qualunque iscritto di An può rivolgersi alla magistratura. E si legge anche che nel caso di inadempimento dell’onere, quindi laddove tu Fini non fai la buona battaglia che stava a cuore alla contessa, l’autorità giudiziaria, e dunque il tribunale, può pronunziare la risoluzione della disposizione testamentaria. Che vuol dire? Che se ti levo la qualifica di erede, tu Fini o tu partito, mi ridai tutto indietro». Il ragionamento, a sentir loro, si chiude a meraviglia: «Letto il codice, letta la storia politica di Fini ai giorni nostri, letto l’articolo del Giornale sulla casa di Montecarlo, qualunque iscritto ad Alleanza nazionale può recarsi in tribunale e dire: siamo venuti a conoscenza di questa problematica, chiediamo formalmente che tutti i beni della contessa Colleoni vengano tolti al partito», con ovvia eccezione per alcuni legati che la contessa ha riservato ad alcuni nipoti non avendo avuto figli.

«Rispetto a tutto questo enorme patrimonio – attacca Di Andrea – avremmo potuto piantare una grana infinita ma abbiamo voluto evitare per rispetto del partito di cui facevamo parte. E che anziché prendere tutto e scappar via avrebbe potuto lasciare qualche briciola al circolo monterotondese di An. L’intera gestione dell’eredità della contessa non c’è piaciuta. Siamo rimasti molto male». Buonasorte incalza: «Al senatore Pontone, l’amministratore dei beni di An, dicemmo che non era nostra intenzione speculare su questa eredità ma che almeno ci dessero una giusta riconoscenza delle grandi battaglie combattute in questo paese. Non volevamo toccare palla, non ci interessava lucrare. Tant’è che quanto il senatore Pontone ci rispose che il partito aveva bisogno di fare cassa per le elezioni e quindi doveva vendere al miglior offerente, alzammo le braccia rassegnati».

S’intromette Di Andrea: «Va poi tenuto conto che sul terreno della contessa noi presentammo un progetto per una edilizia che andasse un po’ incontro al sociale, contemplasse pure un dopolavoro e un parco giochi per bambini intestato alla contessa. Il fondo fu venduto a un costruttore della zona. Niente di quel poco che chiedevamo ci è stato dato».

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