Da Monti a Tremonti le meteore del golpe sognato dalla sinistra

Senza leader credibili, dal '94 in poi la l'opposizione ha provato a spodestare Berlusconi con "tecnici" e outsider

Da Monti a Tremonti 
le meteore del golpe 
sognato dalla sinistra

L’avvincente testa a testa fra Manuela Arcuri e Emma Marcega­glia per conquistarsi la palma di eroina della sinistra italiana e leo­n­essa dell’opposizione è stato vin­tonettamente, all’ultimogiro,dal­la presidente di Confindustria. L’ultimatum al governo e l’appel­lo nientepopodimenoché a «salva­re l’Italia» ha retrocesso in secon­do piano l’eroica resistenza della Arcuri alle subdole lusinghe sanre­mesi del premier. La Marcegaglia è soltanto l’ulti­ma meteora nell’affollato firma­mento dei repentini innamora­menti politici della nostra povera, amata sinistra. Un tempo era tutto molto più semplice: ai cortei scan­divamo convinti «Gramsci-To­gliatti- Longo-Berlinguer», la li­nea genealogica era chiara a tutti e l’ultimo della lista - il segretario in carica - era il leader. Punto. Il Pci aveva intorno a sé i «compagni di strada», gli indipendenti, gli intel­lettuali e i «tecnici»: ma a nessuno sarebbe venuto in mente di affida­re loro la guida del partito, della co­alizione o tantomeno del governo. Poi è arrivato Berlusconi, e il mondo è cambiato per sempre. Nella ricerca sempre più compul­siva del leader giusto da contrap­porgli, la sinistra, diciamo la veri­tà, ha perso la testa. Il leader non è più il capo, ma il testimonial della coalizione. E dunque l’importan­te è che piaccia alla gente che pia­ce, che ne soddisfi l’innato com­plesso di superiorità, e che li ricon­fermi nella radicata convinzione di incarnare il meglio del Paese. È la teoria del «Papa straniero», che tanto affascina Repubblica . Nel pantheon meteorico dei lea­der da contrapporre al Cavaliere, un altare speciale è dedicato ai banchieri, agli economisti e agli in­dustriali. Forse nel tentativo di far­si perdonare il peccato originale di aver difeso un tempo i diritti dei poveri, la sinistra italiana mostra da anni una spiccata predilezione per i ricchi.L’ultimo caso riguarda Alessandro Profumo, che dopo aver lasciato il comando di Unicre­dit con una­buonuscita di 40 milio­ni di euro si dichiara oggi «pronto» per la politica, tra gli applausi dei democratici che immaginano co­sì di fare il pieno dei voti nei quar­tieri popolari oggi presidiati dal Pdl e, al Nord, dalla Lega. Ma tant’è. L’elenco dei ricchi è lungo: c’è l’ex commissario euro­peo Mario Monti, che da almeno una quindicina d’anni,a intervalli più o meno regolari, viene candi­dato alla guida di un governo tecni­co che salvi l’economia. C’è Luca di Montezemolo che, a quanto ap­prendiamo dai giornali, sogna da decenni di essere chiamato (an­che lui) a salvare l’Italia, e che da anni annuncia che presto decide­rà se scendere o meno in politica. Mario Draghi è uscito dalla lista dei candidati alla successione al Cavaliere soltanto perché ha avu­to la fortuna di diventare governa­tore della Banca europea ( va nota­to a questo proposito che, fra i ric­chi amati dalla sinistra, il sottoin­si­eme dei banchieri centrali è par­ticolarmente affollato: basterà ri­cordare Ciampi e, prima di lui, Lamberto Dini). Con Dini entriamo in un nuovo territorio, non meno fertile di nuo­vi profeti e nuovi leader. È il territo­rio del centrodestra, e chiunque l’abbandoni, o ne mostri almeno l’intenzione, riceve automatica­mente le stellette di generale (chi invece compie il percorso inverso, dall’opposizione alla maggioran­za, è un traditore e un venduto). Gianfranco Fini, nonostante sia stato fascista fino al 1994 e berlu­sconiano fino al 2010, è diventato dalla sera alla mattina il «compa­gno Fini», fra gli applausi calorosi di Rosy Bindi, che lo vuole nella co­alizione. Dopo Fini è stata la volta di Giu­lio Tremonti, dileggiato per anni e poi, quando i suoi dissensi con il presidente del Consiglio sono di­ventati pubblici, incensato da Re­pubblica con un’intervista- monu­mento in cui si discettava addirit­tura di nuovi blocchi sociali, di go­verno mondiale, di grandi rifor­me: insomma, un programma di governo. Poco dopo la supercrisi ha travolto queste e altre chiac­chiere, ma c’è voluto il caso Mila­nese per convincere la sinistra che forse Tremonti non è proprio la persona più adatta a rappresentar­la. Fuori Tremonti, dentro Beppe Pisanu: l’intervista al Corriere in cui chiedeva le dimissioni di Berlu­sconi ne ha fatto all’istante un eroe della resistenza. Per mantenersi in quota, ora Pisanu alza il tiro e si ritrovaaddiritturadipietrino: «Pat­to di fine legislatura o ci sarà la col­lera del popolo », tuona dalle colon­ne del Messaggero . Il popolo, per ora, non ha commentato. Un ultimo breve capitolo va ri­servato ai nani e alle ballerine ( sen­za offesa per nessuno), cioè a quel­le meteore che vengono dal mon­do dello spettacolo e che, in virtù di una certa popolarità sul piccolo schermo o in libreria, dovrebbero anche conquistare i voti degli ita­liani.

Fra i casi storici va ricordato senz’altro Pippo Baudo, che qual­che stratega illuminato conside­rò, negli anni Novanta,un’alterna­tiva ideale a Berlusconi; poi fu la volta di Nanni Moretti girotondi­no; ora è la volta di Michele Santo­ro e di Roberto Saviano. Morto un papa (straniero), se ne fa un altro.

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