«Moonshot» ci porta sulla Luna Aldrin: era un deserto magnifico

RomaSe chiedete a Buzz Aldrin se Moonshot è fedele alla realtà, lui vi risponderà chiaro e tondo: «No». Ma la colpa non è della fiction che, a quarant’anni dalla missione Apollo 11, rievoca lo storico primo passo dell’uomo sulla Luna (e che ieri ha inaugurato il Roma Fiction Fest). Il fatto è che la realtà vissuta da Aldrin (che quel passo fu il secondo a compierlo, dopo Neil Armstrong) è irreplicabile. «Non ho partecipato come consulente alla fiction - precisa l’ex astronauta, 79 anni e una gloria che da quel mitico 20 luglio 1969 non l’ha più abbandonato -. Io avrei scritto una sceneggiatura diversa. Nella realtà i luoghi, le persone, le situazioni di quell’avventura sono state altre. Ma nessuno che non sia andato sulla Luna può capire cosa significhi. E poi io sono un ex pilota della Nasa, non un comunicatore di emozioni».
In apparenza indifferente alle affermazioni di Aldrin, il regista della fiction - che, in onda su History Channel lunedì 13 alle 23 e su La7 il lunedì successivo, rievoca lo storico evento seguito in diretta tv da 600 milioni di persone e indaga anche i complessi rapporti fra i tre astronauti dell’Apollo - sottolinea il fatto «che questo film racconta come si sia realizzato un sogno da sempre covato dall’umanità». «Certo - ammette il regista Richard Dale -, solo dodici uomini al mondo, quanti l’hanno effettivamente fatto, possono descrivere cosa si provi a calpestare il suolo lunare. Ma l’obbiettivo di Moonshot è proprio questo: cercare di portare fin lassù anche il comune telespettatore».
Suggestive le parole con cui Aldrin descrive ciò che vide: «Non era un “paesaggio” bellissimo. Anzi: non riesco a pensare a un luogo più desolato e privo di vita di quello. Ma di una desolazione magnifica. Immobile e uguale a se stessa da secoli e secoli; mai consumata dall’acqua o dal vento; colorata in tutte le sfumature del grigio e del nero. Surreale. Eppure reale, giacché noi eravamo lì». Ricordi tanto vivi nascono anche dalla consapevolezza «che quei passi lassù furono il frutto di anni e anni di studi, selezioni, prove, sacrifici. E tutto il mondo, in quel momento, li compì assieme a noi».
Ma anche gli attriti e la competizione (sempre ufficialmente smentiti) con Neil Armstrong, che lo precedette nel primo, storico passo quarant’anni dopo sembrano più vivi che mai: «Hanno perfino emesso un francobollo su di lui. E nessuno su di me, che pure compii la prima passeggiata lunare della storia. Ma mio padre non ha mai telefonato alla Casa Bianca per protestare se media e autorità continuavano a parlare di “primo uomo sulla Luna”. Nessuno ricorda, neppure oggi, che quel giorno sulla Luna eravamo in due».
Scientificamente la missione rappresentò uno storico progresso per tutti: «Lo ritroviamo ancor oggi nello sviluppo di mille tecnologie: in quella degli areoplani di ultima generazione, perfino delle comuni automobili»; ma secondo il secondo uomo sulla Luna non varrebbe la pena ripetere la missione. «Tornare lassù? Se ci siamo già stati! Ripetersi solo per fare a gara con le nazioni che stanno provando ad andarci per la prima volta non avrebbe senso. Meglio aiutare loro a farcela, per dotarsi degli stessi progressi. Ma noi oggi dobbiamo visitare comete, asteroidi e, quando sarà possibile, Marte». Ma Aldrin crede che ci siano altre forme di vita, da qualche parte dell’universo? «No. E non esiste nessuno che possa convincermi del contrario. A meno che non venga lui stesso da un altro pianeta».
Quanto ad «Ali G.», pseudonimo del singolare giornalista che da anni accusa Aldrin e tutta la Nasa di non essere mai stati sulla Luna, e di aver montato solo una colossale truffa, «mi perseguita ovunque io vada - sospira l’astronauta -, mi dà del truffatore, del bugiardo, e me lo ritrovo davanti anche quando do ordini di non farlo avvicinare.

Finché, nonostante sia grande e grosso, non ho usato tutto il mio peso per rifilargli un cazzotto. Mi è costato un sacco di soldi. Ma quel giorno, presso i miei colleghi astronauti, le mie quotazioni sono salite alle stelle».

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