
Molto si continua a scrivere, moltissimo a raccontare, libri, documentari, testimonianze, album drammatici. La notte della morte, l'Heysel, la Juventus, il Liverpool, i poliziotti belgi, i capi dell'Uefa, una rassegna dolorosa, quasi narcisista ahimé, quarant'anni dopo, come ad alzare la mano e presentarsi all'appello. Sono parole di repertorio, sono frasi per lavarsi la coscienza e per esibire retorica da strapazzo, soprattutto perché i responsabili, i colpevoli di quel giorno di maggio, restano impuniti, dimenticati o, ancora peggio, sconosciuti per bieco interesse. Si accusano i calciatori della Juventus di avere festeggiato il sangue dei morti, nulla si dice dei loro colleghi del Liverpool fino all'ultimo secondo in partita, ancora meno della polizia di Bruxelles e del francese Jacques George, il presidente dell'Uefa, con i suoi collaboratori, il cosiddetto vertice del governo calcistico europeo; li faccio io, nomi e cognomi, avendoli conosciuti bene, Rudolf Rothenbuler capo ufficio stampa, svizzero come Hans Bangerter, segretario generale del presidente, fu lui l'inventore della regola del gol in trasferta nelle coppe, figure illustri tutte e tre passate ad altra vita senza avere mai spiegato e pagato le loro colpe, organizzative, politiche, umane, penali.
Lo stadio Heysel non esiste più come era ma quella terra, quella zona si porta appresso l'odore acre di una sera spaventosa di quella curva nera di morti, Z il settore, ultima lettera dell'alfabeto, ultimo respiro di trentanove vittime nel nome del calcio a tutti i costi. Prevedo, dunque, celebrazioni, corone di fiori, qualche lacrima di repertorio, discorsi e orazioni pronte per tutti gli usi, poco è cambiato da allora, scene di assedio a Parigi per la finale tra Real Madrid e Liverpool, stesso clima, stessa folla, stessa organizzazione Uefa, stesse facce di bronzo pronte a scaricare le responsabilità. Conosco il giro del fumo: a Monaco di Baviera, sabato prossimo, Inter Paris St Germain non metterà di fronte soltanto le squadre ma tifoserie pericolose, le cronache ultime lo confermano, Uefa baderà soprattutto alla tribuna d'onore, ai vip, alle personalità politiche e calcistiche, con un sistema di sicurezza che non ha eguali, con controlli specifici e, insieme, riverenze e pass privilegiati, il resto sarà verrà delegato alla polizia bavarese e ai bagarini.
L'Heysel non ha bisogno di commemorazioni, è la pagina schifosa di un mondo calcistico gestito da chi non ne conosce la temperatura, lo spirito, le sofferenze ma bada esclusivamente al business, al denaro da succhiare agli sponsor, alle televisioni, la partita di pallone è un accessorio, lo fu a Bruxelles e sarebbe stata una tragedia ancora più terribile l'anno prima quando nella finale di coppa delle coppe si affrontarono Juventus e Porto nello stadio Sainkt Jacob di Basilea, impianto stracolmo, biglietti venduti oltre la capienza, folla assiepata in ogni settore ma la fortuna fu che non si affrontarono ciurme di ultras, i portoghesi e gli italiani non avevano sospesi di battaglia, la partita andò via senza problemi se non la confusione totale e la scelta assurda di avere scelto il neutro di Basilea per due tifoserie corpose. Quella lezione non servì a nulla, la scelta di disputare la finale di coppa dei campioni in Belgio rientrava nel classico gioco elettorale dell'Uefa.
La partita del 29 maggio non doveva incominciare ma quei tre che ho citato e i responsabili della gendarmeria di Bruxelles decisero che i morti andavano coperti e poi spostati, l'alibi dell'ordine pubblico, di una eventuale cancellazione dell'incontro con reazioni violente del pubblico fu una delle questioni eticamente più squallide, la coppa portò il sangue delle vittime ma le impronte erano chiare, senza nemmeno il bisogno di un esame dattiloscopico, l'Uefa se la cavò scaricando addosso ai calciatori ogni responsabilità ma nello spogliatoio entrarono dieci, venti, troppe persone a spiegare, a suggerire, a spingere i calciatori a giocare comunque la partita e Jacques George fu proprio lui a consegnare la coppa al compatriota Michel Platini, la cui colpa fu quella di non fermarsi, cosa che nessun altro seppe o volle fare, nel caos generale. Il capitano di quella Juventus non ama tornare a quella sera, la ferita è rimasta aperta, mai cicatrizzata non soltanto per la strage di chi ama il calcio ed era partito con il sogno di vivere una festa ma per tutto quello che si disse e si scrisse sulla pelle dei calciatori, come complici di quella tragedia, ipocriti e codardi, mentre in tribuna nessuno osò alzarsi per imporre il silenzio, il rispetto per la morte e la fine di uno strazio di cui pochissimi si erano resi conto. Sul tabellone luminoso dello stadio compariva la scritta L'Uefa e la U.R.B.S.F.A (la federcalcio belga) vi porgono il cordiale benvenuto allo stadio Heysel, sotto giacevano morti e feriti, il pannello di luce non venne mai spento.
La maglia con il numero 39, è esposta al museo di Coverciano, la Juventus ha inaugurato una sala in memoria, il Liverpool conserva uguale forte ricordo e gemellaggio. Nessuna voce da Nyon, tempio dell'Uefa. La squallida commedia continua nel nome di chi non c'è più.