Michele Perla
Ci ha impiegato 12 anni ad ottenere giustizia per la morte del figlio, caduto nel Naviglio e trascinato dalla corrente. Una battaglia estenuante che però alla fine si è conclusa con una vittoria, corredata da una sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano che farà giurisprudenza. Era una calda giornata di luglio del 1994 quando Bruno B., di 9 anni, e la sorella sedicenne, insieme ad altri compagni, inforcano le biciclette per una passeggiata lungo lalzaia del Naviglio Grande, nel tratto tra Turbigo e Nosate. Mentre costeggiano il canale, lungo un percorso specificatamente ciclopedonale, un sasso finito sotto le ruote della bici del bimbo gli fa perdere il controllo. Bruno cerca inutilmente di aggrapparsi a qualche appiglio, ma finisce in acqua, trascinato dalla corrente. Inutile il tentativo della sorella che, tuffatasi a sua volta, non riesce a evitargli la triste sorte. La famiglia della vittima si affida ad un legale, che cita in giudizio il Consorzio Parco del Ticino, lamentando lassenza di sicurezza lungo la pista destinata a pedoni e ciclisti.
La disputa legale contrappone le ragioni di un padre che vuole «che sia fatta giustizia per un dolore immenso, causato unicamente dallincuria relativa alla pubblica incolumità», e le compagnie assicurative che coprono i rischi del Parco. E la sentenza del tribunale dà ragione al papà affranto.
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