
Antefatto: l'altra sera, durante il programma tv Belve, Michele Morrone parla a Francesca Fagnani del suo mestiere, cioè l'attore (per chi non lo sapesse, è stato il protagonista di 365 giorni, film polacco targato Netflix con molte scene di sesso, e un tritone, inspiegabilmente con il nome del dio della guerra Ares, nella serie Rai Sirene). Morrone si sfoga. Si definisce un «divo internazionale» e sostiene di avere sempre puntato Oltreoceano: «Non mi sono mai immaginato nel circoletto italiano». A proposito del quale rincara la dose, dicendo di «non aver riscontrato negli attori italiani l'umiltà delle star hollywoodiane, che hanno gli Oscar, mica i David. Qui da trent'anni si premiano tra loro». A scanso di equivoci, assicura che a lui del David «frega niente» e che l'unico attore italiano a superarlo in bravura sia Alessandro Borghi. Dopo di lui, le déluge.
Anzi, dopo di lui, la polemica. Anche perché Morrone ha esternato ulteriormente il suo discontento sui social, dove peraltro ha milioni di follower: «Ciò che ho detto a Belve è un pensiero che ho da tempo e credetemi, non sono il solo. Non mi sento parte di un cinema, quello italiano, che se la canta e se la suona da solo, pieno zeppo di pregiudizi nei confronti dei diversi, che se non hai studiato alla Silvio D'Amico o al centro sperimentale non sei nessuno, se non la pensi con il cuore a sinistra sei solo un fascista, se non usi scarpe Clark e non dai l'idea di essere trasandato, non sei un vero attore. Avete rotto il ca**o!».
Chi lo ha tanto indispettito? «Artisti che fanno i finti inclusivi democratici, sinistroidi che dopo aver preso un David si sentono Dei scesi in terra e si concedono il lusso di fare della morale di sinistra... Tristi e finti poeti maledetti ubriachi, ma con lussuosi appartamenti e villini al mare». Infine, senza nominarlo, prende di mira Luca Marinelli, ovvero Mussolini in M - Il figlio del secolo, la serie Sky tratta dal bestseller di Antonio Scurati: «Gente che si sente male e ha sofferto per aver interpretato il Duce, ma che, come per magia, si riprende molto bene da questo tumulto dopo aver incassato 1,5/2 milioni di euro. Patetici». Conclude con un suggerimento: «Se davvero volete fare i Che Guevara 2.0, i rivoluzionari, smettete di fare gli attori, lasciate stare il cinema e scendete in politica, candidatevi e provate veramente a cambiare qualcosa in questo paese».
Ora, tralasciando l'incresciosa evidenza che in politica, come nella recitazione, il mercato sia già abbastanza saturo, le parole di Morrone hanno trovato largo spazio: e va bene che i social sono il regno del rancore e del gossip, ma il fatto che un attacco così duro al mondo del cinema italiano abbia subito ricevuto ascolto e sostegno dal pubblico (insieme ovviamente a moltissime critiche, dai tatuaggi di Morrone in giù) può suscitare qualche riflessione. Probabilmente legata proprio a quel «circoletto» di cui si lamenta l'attore. Lo stesso «circoletto» che è stato protagonista, nelle scorse settimane, della querelle con il ministro della Cultura sui finanziamenti al cinema italiano; laddove, a fronte di recriminazioni sui «tagli», è emerso come i fondi siano stati attribuiti, per anni, solo agli stessi nomi, tutt'altro che esordienti, tutt'altro che voci dissonanti bisognose di un aiuto per essere finalmente ascoltate. Voci del «circoletto», insomma.
Forse gli italiani non amano tutti pagare - per lo più a loro insaputa (e purtroppo non è una scusa) - per vedere sempre gli stessi film realizzati o interpretati sempre dai soliti volti noti, che poi fanno anche la predica sulla televisione nazionale.Per la cronaca, poi Morrone si è scusato, e ha cancellato l'attacco ai colleghi. Ha detto di essere stato spinto da un «disagio» e dall'«amore profondo» per il cinema. Che vorrebbe fare in Italia, ha detto.
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