Londra - A vederla così senza trucco, i capelli ricci che le scendevano fino alle spalle, si capiva subito che come imprenditrice era una outsider di razza. Ormai era diventata un volto noto in tutto il mondo eppure era ancora difficile immaginarla come una donna di successo. Perché Anita Roddick, fondatrice dell’impero di Body Shop era soprattutto una infaticabile ambientalista. È morta nel tardo pomeriggio di lunedì, all’ospedale St. Richard di Chichester dove era stata ricoverata d’urgenza subito dopo aver accusato un forte mal di testa. Una gravissima emorragia cerebrale se l’è portata via a soli 64 anni. Suo marito Gordon e le sue figlie Sam e Justine erano accanto a lei quando è spirata.
Ieri tutto il mondo politico britannico, a partire dal primo ministro Gordon Brown, ha voluto renderle omaggio insieme alle principali organizzazioni ambientaliste. La vita e l’impresa di questa donna, figlia di emigranti italiani sono state eccezionali, il suo modo di pensare al business ha cambiato per sempre il mercato. Grazie ad una reale passione per l’ambiente e l’ecologia e ad una rara sensibilità per le problematiche sociali, la Roddick ha dimostrato che esisteva una via differente di lavorare.
Nel 1976 lancia Body Shop e inizia a vendere dei prodotti cosmetici ecologici, realizzati senza danneggiare l’ambiente e senza utilizzare gli esperimenti sugli animali. Un piccolo business che in pochi anni si trasformerà in un successo di dimensioni planetarie, con migliaia di punti vendita in tutto il mondo. Lei che «non voleva morire ricca» venderà la sua quota a L’Oreal ricavandoci 130 milioni di sterline e ottenendo le garanzie di continuità nel sistema di valori che hanno sempre ispirato la sua azienda. Insomma Anita era quello che oggi si chiama un’imprenditrice verde, ma lo era già trent’anni fa, quando tutto questo interesse per l’ambiente e l’ecosistema non andava di moda. «Dame Anita è stata una vera pioniera nel suo campo - ha detto il premier britannico Brown - la sua morte mi ha rattristato profondamente. Con la sua opera ha ispirato milioni di persone convincendole a fare dei prodotti ecosostenibili un mercato di massa». E per molte donne la Roddick è stata anche un esempio di come sia possibile fondare un’azienda e portarla al successo senza svendersi, senza mai tradire se stesse e i propri ideali. Questa signora ormai sessantenne con lo spirito di un’eterna hippie aveva collaborato con le organizzazioni più famose da Greenpeace agli Amici della Terra ad Amnesty International. «Anita era un’attivista - ha detto ieri Kate Allen, direttrice inglese di Amnesty - qualcuno che ha sempre compreso l’importanza di battersi per la difesa dei diritti umani».
Lo scorso febbraio la Roddick aveva rivelato di avere il virus dell’epatite C. L’aveva contratto più di trent’anni fa con una trasfusione di sangue durante il parto della sua seconda figlia, ma aveva scoperto di avere la malattia soltanto un paio di anni fa, dopo un semplice esame del sangue. Com’era nel suo carattere aveva trasformato questa sua condizione in una nuova battaglia e negli ultimi mesi si era impegnata per rendere più consapevole l’opinione pubblica in merito a una patologia spesso molto sottovalutata. Il pensiero della morte non era riuscito a domare la sua combattività.
«Il bello di Anita - ha detto affettuosamente Charles Gore, direttore della Hepatitis C Trust - era che prendeva seriamente tutte le cause che le stavano a cuore senza mai prendere troppo seriamente se stessa, il che la rendeva estremamente divertente». Ci auguriamo che sorrida ancora adesso, dovunque si trovi. Goodbye, green queen.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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