Il presidente Mahmoud Ahmadinejad lo ripete da giorni. «Voglio scelte pulite, vogliamo - ripete parlando dei 21 fedelissimi proposti come ministri del suo nuovo esecutivo - promuovere la giustizia, preservare la dignità nazionale, raggiungere il progresso e fronteggiare i prepotenti». Sia fatta la sua volontà. Da ieri, grazie al voto entusiasta del Majlis, il parlamento iraniano, il presidente ha al fianco un ministro della Difesa all’altezza del programma. Lui si chiama Ahmad Vahidi e non è un politico qualsiasi. Lui è un super ricercato inseguito da un mandato di cattura internazionale, un generale con tanto di foto nella lista dei latitanti dell’Interpol, un ex capo pasdaran sospettato di aver progettato l’attentato del 18 giugno 1994 al centro della Comunità ebraica di Buenos Aires costato la vita a 85 persone.
Per usare le parole del procuratore argentino Alberto Nisman, titolare da anni dell’inchiesta sulla strage, il generale Vahidi - capo negli anni 90 della Brigata Al Quds, l’unità dei Guardiani della rivoluzione responsabile delle operazione speciali all’estero - è «l’elemento chiave nella pianificazione e nella decisione dell’attentato». Tra le stanze del nuovo «walhalla» iraniano dominato dai duri e puri di regime quei sospetti diventano autentici attestati di benemerenza. «Quelle accuse non hanno alcun effetto anzi giocheranno a suo favore», avvertiva Alaeddin Boroujerdi, presidente della commissione incaricata di vagliare le nomine ministeriali, rispondendo alle critiche di chi in Argentina e negli Sati Uniti definiva un insulto la nomina di un sospetto terrorista. E così, ieri, mentre i portavoce iraniani contrattaccano accusando il sistema giudiziario argentino di non aver esibito una singola prova contro il generale - l’aula del Majlis acclama la nomina del grande inquisito sottolineandone il gradimento al grido di “morte a Israele”. In quello slogan - così caro ai deputati oltranzisti - c’è la sintesi di tutti i sospetti su Vahidi, già sottosegretario alla Difesa nel precedente governo, e sulla strage di Buenos Aires. Una strage messa a segno, si dice, per vendicare il rapimento e la deportazione in Israele di Mustafa Dirani, un capo di Hezbollah responsabile, a suo tempo, della detenzione di Ron Arod, l’aviatore israeliano scomparso in Libano negli anni 80. Quei sospetti, nelle parole del capo della commissione difesa Gholam Reza Karami, uno dei più entusiasti sostenitori del generale, «sono la dimostrazione di come la nomina sia l’unica risposta possibile alle mosse della lobby ebraica».
Nell’aula del Majlis non tutti i 21 candidati di Ahmadinejad possono contare su una simile scontata approvazione. Chi non possiede un cursus honorum paragonabile a quello del «ricercatissimo» ministro della Difesa rischia di dover superare le forche caudine. Ne sa qualcosa Sussan Keshavarz, la candidata al ministero dell’Istruzione costretta ieri a rispondere alle critiche di quanti non la considerano all’altezza dell’incarico e dei religiosi che la vorrebbero depennata per il solo fatto di esser donna. Se riuscirà a convincere il Majlis la signora Keshavarz diventerà, assieme alle colleghe Marzieh Vahid Dastjerdi e Fatemeh Ajorlu designate al dicastero della Salute e a quello Welfare, una delle prime tre donne ministro della Repubblica islamica.
In attesa di queste e altre nomine indispensabili per varare il suo esecutivo Mahmoud Ahmadinejad studia come evitare le nuove sanzioni minacciate dalla Casa Bianca e dalla comunità internazionale per bloccare i suoi progetti nucleari. La platea prescelta stando alle voci sarebbe anche stavolta l’Assemblea delle Nazioni Unite. Sfruttando quell’auditorio e la presenza dei media di tutto il mondo il presidente conta di lanciare nuove offerte capaci di arginare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. «L’Iran ha pronta una proposta aggiornata sulla questione nucleare ed è pronto a discuterne con le potenze internazionali» - ha annunciato ieri il capo dei negoziatori Saeed Jalili.
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