Cesare G. Romana
Fu esattamente trentanni fa che decollò sulla scena inglese, eppoi su quella mondiale, la «rivoluzione» punk. Il rock, perso tra i cascami della psichedelia e le mascherate del glam, pareva al tramonto. Sennonché il punk ne sventò la crisi immettendo nelle sue vene un po sclerotiche i veleni duna rabbia inconsueta, e la grezza efficacia dun lessico angusto, impoetico, asintattico ma forte dun ribellismo radicale e dun gusto aspro per leresia. E subito si profilarono due tendenze: i Sex Pistols incarnarono, del movimento nascente, laspetto più anarcoide e distruttivo, i Clash quello più attento al futuro. Da un lato lopposizione cieca e la provocazione fine a se stessa, dallaltro la protesta consapevole e finalizzata.
Ora The Clash - Death or Glory (ed. Arcana), bel libro di Pat Gilbert, ricostruisce la vicenda del gruppo inglese attraverso un fitto intreccio di testimonianze e di dettagli rivelatori, ambientandola nei fermenti che a metà degli anni Settanta tramutarono la gioventù inglese in un girone di «famiglie disintegrate, rivolte razziali, ghetti metropolitani, look offensivi e gente che ti sputa in faccia». In questambito i Clash, contrapponendosi al nihilismo imbelle di altri gruppi punk, si adoperarono per «denunciare dittature, disoccupazione e terrorismo con voce credibile, sapendo cosa vuol dire esser giovani in un mondo senza futuro»: ma senza casacche di partito e lontano da ogni burocratismo militante, semmai in un intreccio vitalissimo di humour, fede, fumettismo e vulnerabile ingenuità. Il che consentirà ai Clash di eludere il rischio da loro stessi sarcasticamente evocato, nel dire che «chi fotte le monache, finirà per convertirsi alla Chiesa».
Gilbert coglie questi caratteri fondativi dellesperienza Clash, germogliata attorno alla figura di Joe Strummer, figlio dun diplomatico e cresciuto da eterno sradicato a causa dei frequenti trasferimenti del padre. Dylan, gli Who, i Rolling Stones ma anche film come Lawrence dArabia e Viva Zapata! forniscono alla futura rockstar i primi archetipi, cui saggiungono la scoperta della musica nera, del reggae giamaicano, della filosofia hippy, ma anche le suggestioni dovute alla lettura di Kerouac col suo mondo di «pazzi, fanatici della vita, del parlare e della redenzione, che non sbadigliano mai e non praticano i luoghi comuni».
Il rock, insomma, con i suoi addentellati culturali è la sola via di scampo per questo ragazzo tormentato, piagato nellanimo dal suicidio del fratello e da una fanciullezza erratica. E il progetto Clash comincia a configurarsi nellincontro col chitarrista Mick Jones, col bassista Paul Simonon, col batterista Terry Chimes poi sostituito da Topper Headon: in una «volubile reazione chimica» che emulsiona talenti diversi ma personalità egualmente irrequiete. Ad affascinare Strummer e i suoi sono dapprima i New York Dolls e soprattutto i Sex Pistols, con la loro energia illetterata ma epidermicamente dirompente. Arricchita, da parte dei Clash, da una causticità consapevole che di là da enunciazioni un po folkloristiche - «No Elvis, Beatles or Rolling Stones» - contiene elementi di coscienza sociale e di tensione civile del tutto autonomi.
LAnarchy Tour del dicembre 76, pur boicottato dalle autorità, unisce i Clash ai Sex Pistols e ai Damned, celebrando il battesimo ufficiale della «rivoluzione» punk.
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