Castellaneta (Taranto) - Ieri in Italia - nel sud dell’Italia, il che dovrebbe rincuorarci ancor più - è accaduta una cosa straordinaria. Anzi due. La prima è che una commissione d’inchiesta tecnico-amministrativa incaricata di far luce «a 360 gradi», senza guardare in faccia nessuno, sul marasma di un ospedale non privo di una sua tragica comicità, lo ha fatto davvero. Lo ha fatto lavorandoci anche di notte e rispondendo in capo a una manciata di giorni, senza tartufeschi giri di parole, alle domande angosciose che salgono da un’opinione pubblica che ancora si domanda come è possibile che in un ospedale della Repubblica italiana esca una roba che ammazza da una manichetta su cui c’è scritto «ossigeno». La seconda cosa straordinaria è che un politico, nella fattispecie il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, prenda atto delle conclusioni portategli sulla scrivania dalla commissione, e si batta il petto pronunciando pubblicamente un miserere chiedendo scusa ai pugliesi e agli italiani. Ammettendo errori riconducibili a un modo spregiudicato se non criminale di fare politica senza i soliti sterminati, cautelosi preamboli e i distinguo di rito; cospargendosi il capo di cenere e dando ai cattivi amministratori della cosa pubblica (non importa se sono della sua stessa parte politica, com’è nella fattispecie) un doveroso benservito. Il tutto in capo a un’ora (un’ora!) dal momento in cui aveva finito di sciropparsi, trasecolando (parole sue) le 17 pagine della relazione d’inchiesta.
La prima testa a saltare è quella del direttore generale della Ausl di Taranto, Marco Urago, uomo vicino ai Ds: quello che nelle prime battute dell’inchiesta parlò con lepida svagatezza di omicidio doloso in luogo di colposo. L’azienda sanitaria tarantina verrà commissariata, ha annunciato Vendola. Quanto a Urago, licenziato sul tamburo, che chiedeva inciprignito e burbanzoso di vedere «atti e motivazioni» del provvedimento, gli ha risposto con una fucilata: «Gli atti e le motivazioni ci saranno nel provvedimento di rimozione».
Vendola punta ora il dito esplicitamente sul «livello abbastanza impressionante di improvvisazione nella maniera di procedere di questo management che si è dimostrato non all’altezza di una situazione difficile come quella tarantina». Quanto ai rapporti con i Ds (che avevano appoggiato Urago, e certo non gradiranno la sua defenestrazione) Vendola è stato lapidario. «Non devo rispondere alla mia maggioranza, ma all’Italia intera».
Nel suo autodafè tenuto di fronte a un Consiglio regionale riunito in seduta straordinaria, Vendola ha definito la storia dell’ospedale di Castellaneta per quel che è: esemplare. «Esemplare dal punto di vista del caos amministrativo; per le modifiche di destinazione di reparti specialistici non supportate da adeguate varianti di progetto; per gli impianti costruiti senza disegni; per i collaudi che non collaudano; per gli allarmi che non allarmano e le mancate verifiche della congruenza di un attore imprenditoriale che non risulta noto alla pubblica amministrazione alla luce della documentazione raccolta». «Siamo di fronte a una strage che ha sconvolto l’opinione pubblica nazionale», ha continuato Vendola ricordando che la Regione si costituirà parte civile al processo contro i responsabili della vicenda.
Stando ai risultati della commissione, guidata dal professor Tommaso Fiore, primario di rianimazione al Policlinico di Bari, sono quattro i pazienti che «con alta probabilità di certezza» sono morti a causa dello scambio di tubi. Un altro caso è incerto. «Altamente incerti» gli altri tre. Ma anche l’autopsia sui cadaveri, data la natura volatile dell’azoto, difficilmente darà indicazioni precise sul rapporto di causa ed effetto.
Sotto la lente d’ingrandimento della commissione è finita tutta intera la travagliata storia dell’unità coronarica in cui sono avvenuti i decessi. Due le varianti di destinazione dei locali che oggi ospitano l’Utic. All’inizio doveva esserci un reparto di terapia subintensiva chirurgica; poi un’ala di pediatria.
Ma l’adeguamento dell’impiantistica, quando si decise per l’Utic, tra appalti e subappalti, non ci fu. Insomma: un reparto «non conforme al regime di funzionalità», dove il «personale medico è gravemente insufficiente»; locali la cui destinazione d’uso è stata modificata due volte senza che vi fosse alcun parere da parte degli organismi competenti, collaudi non fatti, una «carenza assoluta di qualsivoglia gestione del rischio clinico». Stando ai risultati della commissione, nessun giallo vi fu dopo il collaudo della Ossitalia. L’azienda di Bitonto fu l’unica, stando alle risultanze, a mettere mano all’impianto. Nella relazione si rilevano inoltre «evidenti limiti logistici, strutturali e di risorse umane» di un reparto che aprì pur essendo sotto organico. «Nella fase finale del 2004 e nei primi mesi del 2005 - si legge nelle conclusioni della relazione - furono affidate e realizzate opere di sicuro rilievo, superando le modalità tecnico-amministrative e progettuali precedentemente adottate». Il tutto in barba alla procedura di gestione del rischio clinico.
Disfunzioni «sistemiche pronte a tramutarsi in tragedie», ha riassunto il presidente della Regione.
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