Cultura e Spettacoli

In mostra a Torino

Al di là dei paradossi che spesso puntellano le sue rare interviste, Bob Dylan ha dichiarato di sentirsi più a completo e soddisfatto a disegnare e dipingere piuttosto che scrivere e cantare canzoni. L’artista americano ha realizzato anche da solo le copertine di alcuni suoi album. La più celebre, Self Portrait (1970), è stata clamorosamente bocciata come il disco stesso da Greil Marcus, che di Bob Dylan è sempre stato estimatore, oltre che studioso (sul menestrello di Duluth ha pubblicato saggi come Mystery Train, Invisible Republic: Bob Dylan's Basement Tapes e Like a Rolling Stone). L’album doppio rappresenta uno dei momenti più controversi della sua carriera: per ribattere alla critica negativa, Dylan ha spiegato in un’intervista a Rolling Stone di aver realizzato in cinque minuti quello che definisce «uno schizzo grezzo, fatto con l’acrilico» e di aver deciso dopo averlo visto che anche l’album, ancora senza titolo, si sarebbe chiamato autoritratto, qualcosa cioè che rappresentasse al meglio il suo essere, almeno in quel momento.
Dylan aveva appena scoperto la propria vocazione alla pittura e al disegno. Dopo l’incidente in moto nel 1966, costretto a una lunga immobilità, si era avvicinato all’arte e aveva affinato la tecnica frequentando le lezioni di un misconosciuto artista americano, Norman Roeben, che oltre a insegnargli i primi rudimenti tecnici gli aveva mostrato i capolavori classici e del Novecento. Lo sfortunato episodio sembra davvero cambiargli la vita: evita i tour, registra di meno, passa il tempo in famiglia e confida all’amico cantante folk Ramblin’ Jack Elliot, «ma ne vado a Woodstock, voglio vivere in campagna, voglio solo dipingere». In uno dei rari concerti di quell’anno debutta un nuovo gruppo di spalla, The Hawks, che più tardi cambierà nome diventando The Band. In seguito a questo tour The Hawks realizzano l’album Music from Big Pink, il cui titolo è ispirato al soggiorno della casa a Saugerties, New York, dove le pareti sono colorate di rosa. Dylan realizza la copertina per il disco che sarebbe uscito nel 1968. Lo stile sfiora il naif, con un’atmosfera vicina a Chagall, che Dylan afferma di aver studiato con passione nei primi tempi in cui incomincia a interessarsi alla storia dell’arte. Altra celebre cover è Planet Waves del 1974.
Per certi versi i dipinti di Dylan ricordano quelli del grande artista americano di orgine russa Ben Shann, che si afferma negli anni Trenta con opere figurative di impegno sociale. In oltre quarant’anni di attività, da quel fatidico 1966, Dylan ha continuato a lavorare con le immagini, dipingendo nel tempo libero e soprattutto disegnando in maniera compulsiva ovunque si trovasse, in tournée, nelle stanze d'albergo, in una pausa di riflessione. Tra i soggetti, ritratti, interni, paesaggi e nudi ispirati a Van Gogh, agli espressionisti e al francese Bernard Buffet. Curiosi quei disegni «ripetuti» ma colorati diversamente, dove è impossibile non pensare alle infinite variazioni a cui Dylan sottopone spesso dal vivo, stravolgendole, le sue canzoni più famose.
In un’intervista al Sunday Times Dylan ha raccontato di come «il libro è stato ignorato dalla critica, secondo il suo editore ormai abituata, e annoiata, agli exploit artistici di colleghi come David Bowie, Joni Mitchell e Paul McCartney». Poi, nel 2007, a sorpresa, il museo Kunstsammlungen di Chemnitz in Germania organizza la prima mostra personale di Dylan «artista» incentrata sulle The Drawn Blank Series. Un successo annunciato ma non così scontato, perché l’autore di Blowin in the Wind si dimostra davvero bravo, quasi fugando il sospetto che la sua invidiabile posizione da celebrità possa influenzare il giudizio.

Nel febbraio 2010 Dylan debutta ufficialmente da pittore, a sessantanove anni, con una nuova mostra londinese di oli su tela che il critico Maurice Cockrill definisce «fluidi, originali e immaginativi».

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