Mostri ben poco sacri

La 7, una televisione non certo di destra, ha recentemente mandato in onda una lunghissima intervista a Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio. È durata circa un'ora verso le ore 8 e poi ripetuta verso le 17. Sull'intervista sono intervenuti in video Giovanni Sartori, Renato Farina, vicedirettore di Libero e Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Sole 24 Ore. Tutti hanno riconosciuto che in questa intervista Berlusconi ha dimostrato di essere un vero «statista» per la pacatezza e l'ampiezza dell'esposizione.
Mi ha stupito nel vedere la risonanza di questa intervista sui giornali o nei telegiornali (si salva il Giornale). La sinistra l'ha ignorata o ha preferito ripetere la solita litania di critiche nella speranza che una mezza verità, se ripetuta, diventasse una verità. Nell'imminenza delle elezioni ha scelto una propaganda infuocata, senza respiro, tutta d'assalto, ignorando lo «statista» Berlusconi. Si critica sistematicamente tutto, anche le minuzie, anche talvolta inventando i fatti con favole e fantasie. Si salva del governo solo chi critica Berlusconi, come Pier Ferdinando Casini o Marco Follini.
A dare il tono alto alla campagna elettorale è stato ovviamente Romano Prodi. Viene in mente l’Apocalisse: c'è il tono profetico di un esiliato in patria (Prodi ovviamente non è deputato) che profetizza la salvezza: nel presente, cioè nell'età berlusconiana, si sprofonda in un baratro, nel nero assoluto, ma poi verrà la luce. Prodi, appunto.
A questo punto ci si può domandare cosa fanno i giornalisti sui giornali o alle televisioni. Nella stampa e sulla stampa c'è stato un dibattito sui giornalisti, nel quale si parla di etica e di valori. Non credo che questa sia la strada giusta perché in una età di relativismo ogni giornalista avrà i suoi valori. Io invece preferisco ancorarmi ad un criterio più oggettivo, al principio della professionalità. E il quasi totale silenzio sull'intervista di cui si è parlato è il sintomo di una mancanza di professionalità, cioè nel non capire che questa non era una delle tante interviste, ma era l'intervista che apriva la campagna elettorale e che spiazzava la sinistra, Prodi principalmente.
Con professionalità non intendo dare il voto ai giornalisti, ma esprimere il personale giudizio di un lettore o di uno spettatore. Partiamo dagli autori che leggo più attentamente: il modello ieri come oggi è certamente Alberto Ronchey, equilibrato, informatissimo, con argomentazioni e senza atti di fede o polemiche verbali. Poi leggo, istruendomi, quei collaboratori esterni che parlano soltanto dell'argomento nel quale sono specialisti: primo tra tutti Magdi Allam, odiato da una estrema sinistra sempre becera, ma con molto odio.
Diffido di coloro che parlano di tutto, i tuttologhi, e su tutto esprimono il loro giudizio critico, anche se non conoscono l'argomento. Un esempio è dato da Sergio Romano per i fondi e le risposte alle lettere sul Corriere della Sera, e gli editoriali su Panorama. Per il suo antiamericanismo formula spesso giudizi del tutto sbagliati, soprattutto quando parla di Israele. In una dura e documentata critica a Romano Luigi Compagna si è divertito a ripubblicare un articolo di fondo pubblicato dal Corriere sul Sionismo di Francesco Ruffini apparso il 17 giugno 1920. L'articolo mostrava il valore risorgimentale e mazziniano del Sionismo. Quanta distanza c'è oggi dai nostri antichi e veri maestri!
Chi mi infastidisce e mi irrita sono due mostri sacri della sinistra, la cui presenza è invocata nella televisione di Stato per la campagna elettorale. Questi mostri sacri sono Enzo Biagi e Michele Santoro. Enzo Biagi può liberamente divulgare le sue idee su due o tre testate giornalistiche, fra le quali un piccolo editoriale la domenica sul Corriere della Sera. Sono pezzi senza senso, banali e talvolta ripetitivi di altri suoi scritti, mancano dell'ironia e del mordente di altri tempi: fioccano senza argomentarle le solite critiche e le solite litanie contro Berlusconi, con una patetica nostalgia per il passato e per i suoi cari Appennini. Ora la sinistra lo vuole mandare anche in Rai Tv.
Differente è il discorso su Michele Santoro che sta lasciando l'esilio dorato al Parlamento europeo per tornare a fare l'intervistatore nella televisione pubblica. Anche l'intervista ha sue regole di professionalità evidenti: rispetto per l'intervistato, non interromperlo mentre parla, salvo qualche critica nelle pause. Ricordo una intervista del Santoro a Rosario Romeo, il maggior storico italiano, autore della monumentale biografia su Cavour in quattro volumi. Professore ordinario a Roma era stato costretto a cambiare università per le violente ed aggressive contestazioni degli studenti. Qui entra in scena Santoro a sostegno degli studenti, quasi un Arcangelo Vendicatore. Non lascia parlare Rosario Romeo, lo interrompe sempre con violenza, impedendogli di esprimersi. Davanti agli spettatori voleva dimostrare che era lui il vincitore, ma era solo uno specialista nel linciaggio. Farlo tornare è un'offesa alla cultura italiana: vorrei conoscere il parere di Petruccioli, presidente della Rai, e Mieli, direttore del Corriere della Sera, uomini di vasta cultura che certamente da giovani si saranno formati sui testi di Rosario Romeo.


Per concludere spetta al lettore giudicare la professionalità dei giornalisti che scrivono sulle diverse testate o che parlano nelle diverse televisioni. Non spetta di certo ai politici, che non hanno il monopolio di decidere alle spalle dei cittadini.

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