Mucche, pappataci, spigole e altri intellettuali

«Una noia mortale la villeggiatura al mare. Aprite gli occhi. Tutti in mutande, uno in fila all’altro. Sudati, nudi come foche artiche, i villeggianti stazionano per ore immobili sotto il sole. Si urina abitualmente in mare, ci si schiaccia i punti neri, ci si gratta il sedere, si discute di malattie, si uccidono i pappataci, si torturano granchi e in mezzo a tutto questo ben di Dio, ci si guarda reciprocamente con quel compiacimento da pascolo svizzero in cui le mucche finalmente riescono a raggiungere il loro tanto, tanto desiderato benessere. Muuuuu».
Già questa descrizione rende ai nostri occhi l’autore un personaggio interessante. Se poi ci aggiungete che l’autore fa proprio il motto coniato negli anni Trenta da Ernesto Rossi e liquida la politica in quattro parole: «Il più son balle». Considerate inoltre che buona parte del suo libro è dedicato allo sberleffo della cultura, dei suoi attori e dei suoi comprimari, senza dover ricorrere alle arbasiniane categorie della «giovane promessa» e del «venerato maestro» ma limitandosi a tratteggiare, senza mai nominarlo, il ben noto «solito stronzo». Nel suo divagare l’autore nota come l’intellettuale sia divenuto un personaggio di pubblico dominio, con i propri ammiratori e pronto «a concedersi alle folle plaudenti e complici». Il nostro segue le gesta degli intellettuali gaudenti nei festival, alle presentazioni dei libri, nelle varie versilie e cortine estive e si chiede: come mai la cultura è diventata una specie di «religione civile itinerante tra assatanati»? E soprattutto perché fa sempre il tutto esaurito? L’autore confessa di non riuscire a capirlo. E anche questo è un altro punto a suo favore.
Quando poi chiude il libro prendendo a prestito da Bruno Barilli l’esempio della spigola «È fresca? Caso mai non fosse fresca, mi dia ad ogni modo la coda, perché la coda è l’ultima a marcire. Così è dell’Italia», ecco, con queste conclusioni l’autore si guadagna di essere inserito tra gli italiani non inutili (parafrasando Longanesi).

Anche se l’idea che la spigola possa alla fine gonfiare il petto e sentirsi un tritone appare disneyana.
Ps. Abbiamo parlato di Edoardo Camurri, autore di L’Italia dei miei stivali (Rizzoli).
caterina.soffici@ilgiornale.it

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