
Il problema sta tutto nella definizione. «Dramma giocoso». È in questa contraddizione fra tragedia e leggerezza, che consiste la sfuggente natura del Don Giovanni di Mozart. Metterlo in scena, insomma, è sempre una gran bella grana. Ci si prova stavolta, al Festival di Caracalla alloggiato nella Basilica di Massenzio, Vasily Barkhatov: già responsabile della regia più fischiata dell’ultimo decennio, la famigerata Turandot del San Carlo di Napoli, anno 2023. E nonostante anche a Roma il regista russo si sia beccato sonanti «buuuuh» dal pubblico, a noi la sua lettura del Don Giovanni è parsa interessante. Cos’è un seduttore compulsivo - dev’essersi chiesto - se non un bambino mai cresciuto? Logico che viva le sue avventure in un luna park, allora, dove il «catalogo» delle sue conquiste è graffito sulle panchine, e il loro tourbillon vissuto sui giri della ruota panoramica.
Durante la sinfonia Barkhatov ci spiega le cause di questo infantilismo: un padre violento. Ne consegue che è il padre stesso di Don Giovanni, e non più il Commendatore padre di Donna Anna (che qui è già morto e già nell’urna cineraria che la figlia ha con sé) a perseguitarlo col suo ricordo, per trascinarlo infine all’inferno. Ora, se questa ambientazione da parco giochi soddisfa il lato brillante della vicenda, per esempio col seducente inseguirsi dei personaggi travestiti nella galleria degli specchi deformanti, il momento più azzeccato dello spettacolo, trascura invece del tutto quello drammatico. A dirci la tragicità di Donna Anna, interpretata con bella sicurezza da Maria Grazia Schiavo, resta solo la musica di Mozart. E lo sconvolgente finale (tagliata la «morale» degli altri personaggi) è sconvolgente solo grazie alle note. Lo spettacolo, dunque, funziona a metà. Eppure resta intrigante. Merito anche degli interpreti, guidati dall’impeccabile direzione d’orchestra di Alessandro Cadario.
Al debutto nel ruolo del titolo, Roberto Frontali si dimostra interprete saldo ed efficiente. Validissimo partner il Leporello elegante ed incisivo di un applauditissimo Vito Priante. Carmela Remigio disegna una Donna Elvira più petulante che tormentata, premiata però anch’essa dagli applausi del pubblico.