
nostro inviato a Firenze
Nel cortile di Palazzo Medici Riccardi, a Firenze, giovedì sera, è stata eseguito, per intero, l’opus 87 di Shostakovich. Quasi quattro ore di musica suonata da sei pianisti che si sono passati il testimone, a ciascuno la sua parte. Si sono esibiti: Maria Grazia Bellocchio, Muriel Chemin, Maria Perrotta, Pietro Rigacci, Roberto Russo e Massimo Somenzi. L’evento era in cartellone al «Flo.Re. Festival», idea di base: grandi concerti in meravigliosi luoghi della città. Palazzo Medici Riccardi è tra questi. Siamo a un passo da San Lorenzo e dal mercato. A due dal Duomo. A tre dal Ponte Vecchio. Quando si passa dal giardino, insospettabile dall’esterno, si arriva nel cortile. Entrando da via Ginori, gli spettatori sono accolti dalla schiena di Orfeo che incanta Cerbero con la sua lira. È una statua del 1516 di Baccio Bandinelli. Nel mito, Orfeo, grazie alla musica, riesce a scendere nell’Ade per rubare all’oltretomba la ninfa Euridice, incantata dalle note. Gli dei però hanno posto una condizione al cantore: non voltarsi durante la salita dagli inferi, pena il ritorno di Euridice nel regno dei morti. Orfeo si volta. Euridice è inghiottita dalle tenebre.
La musica, dunque, è legata alla morte e all’amore. Seduce gli dei e strega le bestie come Cerbero. Nel corso della serata, ascolteremo fughe dal dolore, deviazioni mistiche, cavalcate gioiose, tuffi nel pozzo nero della depressione. La vita, insomma, imprevedibile e imprendibile. La vita, tra l’altro, si intrufola nel concerto: ci sono il dolore con la sirena dell’ambulanza, il grottesco con il piccione in alto sopra il pianoforte, il pittoresco con le voci dalla strada. La città che pulsa non sottrae niente all’ascolto, anzi aggiunge una dimensione decisiva: la realtà. Siamo qui, immersi nella bellezza, ascoltiamo musica meravigliosa, fantastichiamo, il tempo è sospeso. Ma presto torneremo là fuori, insieme con gli altri, a condividere un destino forse avventuroso, forse complicato, dal finale, purtroppo, inevitabile.
Quando arriviamo, i musicisti stanno provando. Approfittiamo di Massimo Somenzi, il primo ad “assaggiare” il pianoforte. Com’è l’opus 87? «Difficile. Tecnicamente è una sfida per l’esecutore. Shostakovich era uno sperimentatore. Credo che questi ventiquattro preludi e fughe fossero anche un modo di ripercorrere le sue composizioni, incluse quelle dei periodi difficili nei quali fu ostracizzato dal Partito comunista sovietico ». Shostakovich fu denunciato due volte a causa della sua musica: la prima nel 1936, la seconda nel 1948. I suoi lavori furono censurati ed è famoso il disgusto di Stalin durante una esibizione moscovita. Dopo la morte del dittatore, Shostakovich fu riabilitato, e divenne una sorta di «ambasciatore culturale « della Russia sovietica. Con i Preludi e fughe siamo tra il 1950 e il 1952. E questa volta approfittiamo di Maria Grazia Bellocchio, che si è appena alzata dal pianoforte: «Le date sono importanti. All’inizio degli anni Cinquanta, molti compositori, ne cito uno per tutti: Olivier Messiaen, cercavano di fare qualcosa di nuovo. Shostakovich qui riesce a essere “classico”, d’altro canto Preludi e fughe sono un omaggio a Bach, e insieme sperimentatore».
Per un attimo ci lasciamo rapire dal cortile. Qualche metro più in là c’è la Biblioteca Riccardiana, che conserva manoscritti indispensabili per la conoscenza della letteratura in volgare. Ecco Simone Paiano, direttore generale. È il momento di chiedere perché ha scelto luoghi così particolari: giardini, biblioteche, cortili nascosti e chiese storiche. «Come si può immaginare per unire musica e cultura, in luoghi non scontati, con una grande attenzione all’elemento naturale. Non a caso il festival, quest’anno, è dedicato agli alberi. Meno banalmente, per rinverdire una antica tradizione fiorentina. Fino a qualche decennio fa, i salotti e i cortili hanno tenuto a battesimo una incredibile quantità di musica da camera, eseguita in anteprima. È il caso, ad esempio, di Franz Liszt: scrisse pagine e pagine di musica nel suo periodo italiano. E molte furono eseguite in questa città». Gregorio Nardi ha scritto Con Liszt a Firenze un libro che raccoglie le sue ricerche sulla presenza a Firenze di Liszt e dei lisztiani. Nardi è il direttore artistico del «Flo.Re«. Dopo il concerto esprime la sua opinione: «L’esecuzione è stata splendida, la diversità degli esecutori enfatizza la composizione. Ho notato inoltre una grande fantasia, la capacità di esplorare la musica in modo sorprendente. Oggi sembra che essere fantasiosi sia una colpa da punire con le cinghiate sulla schiena. Male, in tutti i sensi».
Al termine del concerto, si fanno le ore piccole in trattoria. Purtroppo, non abbiamo che una pagina. Ma con gli aneddoti raccontati da veri uomini di teatro ci si potrebbe riempire un libro o due. La cena diventa quindi una esilarante carrellata di gaffe, imprevisti, flop, errori, successi insperati. Da qui in poi, non importa chi parla.
Montserrat Caballé in cartellone nello stesso giorno a Milano e Madrid. Quale teatro faceva il furbo? Ve lo lasciamo indovinare. C’erano una volta due grandi tenori. Quello che studiava sempre (Placido Domingo) diceva a quello che non studiava mai (Luciano Pavarotti): «Se avessi la tua voce cambierei il mondo». Poi ci sono i colpi di genio, si fa per dire, dei registi. «Leggono il libretto, ascoltano a malapena la musica e ne danno un’interpretazione. Sia detto con rispetto: ma chi se ne frega della loro interpretazione. All’opera si va ad ascoltare i cantanti e l’orchestra». E via, dunque, alla galleria degli orrori: la vecchia cantante costretta a esibirsi in altalena. L’interprete costretta a cantare sdraiata sul tavolo a pancia in giù per introdurre una scena di sodomia. Il vecchio tenore cieco che forse ci vede benissimo, e adocchiata una regia pessima si mette in un angolo del palco e ci rimane per tutta la durata (ricavandone applausi a scena aperta). «I nazisti, i deportati, il campo di concentramento. Va bene. Ma basta. Quante opere sono state rilette in questa chiave, quasi mai calzante?». Scene arrembanti della Cavalleria rusticana ambientate in una tetra cattedrale con una sola fedele in preghiera perché il regista vuole mostrare a tutti i costi Gesù in croce. Perché? Non si sa.
Non si sa neppure chi, di recente, abbia avuto la bella idea di vestire i cantanti con abiti di scena da dieci chili. Nel cast, sono svenuti in cinque, «record mondiale».Non resta che andare a dormire. Con la musica in testa e il desiderio di riascoltarla. Buona notte Orfeo, benvenuto Morfeo.