Muti e la «Cherubini» binomio monzese

Manca a Milano da quattro anni. Da quando si consumò uno dei divorzi più chiacchierati della storia musicale recente, e lo si capisce date le parti in causa: Riccardo Muti da un lato e Teatro alla Scala dall’altro. Nell’aprile 2005, Muti si dimetteva dall’incarico di direttore musicale del teatro massimo cittadino, dopo diciannove anni di collaborazione. E da allora, non ha più messo piede né a Milano né dintorni. Ha colto, dunque, tutti di sorpresa il fatto che il direttore napoletano abbia accettato l’invito a dirigere nel Duomo di Monza stasera (ore 21). In programma, pagine di Mozart e Verdi. Un concerto che, dopo l’edizione del 2008 con José Carreras e del 2007 con Ennio Morricone, sigla il terzo ciclo de «Le Prime della Villa Reale». L’idea di partenza era quella di sfruttare i cieli stellati e le atmosfere bucoliche della Villa; alla fine s’è invece optato per il Duomo, un grembo sonoro dotato di organi leggendari e una bella Cappella Musicale. Muti torna in Lombardia alla guida della sua giovane creatura, l’Orchestra Cherubini, sull’onda dei recenti successi a Salisburgo (per il Festival di Pentecoste) e recentissimi a Parigi, dove Le Monde ha parlato di un Direttore «allo zenith della sua arte». Si tratta di successi raccolti alla testa dell’Orchestra Cherubini, un complesso di formazione di musicisti – una volta tanto - italiani e sotto i 30 anni. A fondarlo e perorarne la causa è Muti. Che non si avvale di assistenti, cura ogni singola prova, cresce ragazzi che dopo i quattro anni di formazione spiccano il volo verso orchestre istituzionali. Il complesso atteso a Monza già appartiene alla seconda fase-Cherubini, avviata nella seconda metà del 2008. Cosa vuol dire crescere i ragazzi della Cherubini? «Quando si insegna ai giovani – spiega Muti -, si insegna a se stessi. È un’esplorazione che parte da uno stato di quasi verginità. Un rapporto diverso rispetto a quello che si instaura con grandi orchestre». E, Muti, di grandi orchestre ne sa qualcosa, considerato che si alterna fra i Wiener Philharmoniker, la Chicago Symphony, la Bayerischen Rundfunk, l’Orchestre National de France e la Philharmonia di Londra.

Lo scorso giugno, a un passo dal lasciare i giovani cresciuti per quattro anni, Muti ci dichiarò di «essere soddisfatto, credo di aver trasmesso loro il modo d’essere musicista, cosa difficile quando si voglia fare questa professione con un senso non solo estetico, ma etico».

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