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"Né destra né sinistra io resto radicale". Vasco Rossi negli stadi sempre più rock'n'roll

Ieri al Dall'Ara di Bologna la prima data del tour. Il prossimo anno torna a San Siro

"Né destra né sinistra io resto radicale". Vasco Rossi negli stadi sempre più rock'n'roll

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Poi come al solito stupisce tutti. Invece della mazzata rock, Vasco inizia con una ballata, per di più di trent'anni fa, quella Dillo alla luna che tiene dentro lo slogan decisivo di questo giro di concerti: «Guardami in faccia quando mi parli». Il pubblico lo guarda, anzi lo osanna, quando sale sul palco al Dall'Ara nella penombra del tramonto, un'esplosione di quarantamila all'inizio di un tour da 450mila biglietti venduti con nonchalance tra Bologna, Roma, Palermo e Salerno perché qui si va sul sicuro: lo show dura quasi tre ore, è molto rock'n'roll, nel senso che è rock (ma meno metal dell'anno scorso) ma anche roll, cioè pieno di fiati e di scansioni che discendono dal blues. «Guardala in faccia la realtà - spiegava Vasco prima di salire sul palco - perché c'è una narrazione edulcorata, tutti cercano il consenso ma in realtà bisogna soprattutto cercare di risolvere i problemi». Ventisei brani su di un palco così largo (settanta metri) che Vasco a tratti è solo un puntino in mezzo alla musica e per fortuna ci sono i megaschermi e una pedana centrale che lo porta al cuore della platea. Stendimi. Rock'n'roll show. Non sei quella che eri (mai suonata prima dal vivo).

In totale sono ventisei brani, uno dei quali è un medley con estratti da Come nelle favole o Il blues di una chitarra sola, e un interludio nel quale Vasco rifiata dietro le quinte e la band si lancia in virtuosismi. Quando parte C'è chi dice no, sempre più asciutta e tirata, il pubblico canta all'unisono perché ogni concerto di Vasco è in fondo un modo di dire no che si rinnova sempre e da quanrant'anni si adatta alla realtà che cambia. Ora il «popolo del Blasco» è anche un modo di essere social senza stare sui social, è un ritorno al futuro scavalcando la solitudine dello smartphone.

C'è volume alto al Dall'Ara. E ci sarà politica anche in ogni concerto. Non si accenna più a Romagna mia, come nei concerti di prova a Rimini qualche giorno fa, ma si fa riferimenti precisi alla politica, forse più precisi di sempre. Durante T'immagini, Vasco anche nelle prove aveva coperto tutto l'arco costituzionale e inserendosi puntuale nelle strofe: «Meloni? Fa-fa-fa favole». E poi idem per Salvini, Berlusconi, «comunisti» e «Cinque Stelle» tutti accomunati in questa nuova corrente di supposto favolismo politico. «Sento molte favole, grandi discorsi, ma non vedo decisioni per soluzioni reali. Destra o sinistra non contano più, li boccio tutti tranne Pannella. I politici non fanno gli interessi di questo paese» ha detto sempre prima di entrare in scena e fare musica per due ore e quaranta. Bisogna ammettere che a 71 anni suonati (per davvero) Vasco è ormai l'unico delle grandi star a prendere posizioni, condivisibili o meno, ma comunque chiare e schierate, evviva, non le solite omelie politicamente corrette che salvano capre e cavoli ma non aggiungono nulla.

«Il racconto di grandeur non lo vedo, l'Italia non conta nulla sul piano internazionale» e forse non era mai stato così chiaro. Il bello di Vasco è che è politico ma resta apartitico, non ha mai preso posizioni, non ha mai tirato la volata a nessuno salvo, appunto, a Pannella che «purtroppo non c'è più». È stato «anti sistema» molto prima di chi è diventato «antisistemico» di professione, ma rimane alla larga dal qualunquismo e dal populismo, che sono poi le tentazioni acchiappaclic di chi cerca il consenso facile.

E forse questo è il suo elisir di gioventù.

Oltretutto è in forma come raramente si è visto, anche vocalmente, e regala un concerto che è un «manifesto futurista» ma pure un Undicesimo comandamento, il brano con il riff più monumentale e un verso che è una risposta di buon senso: «Non puoi discuterci con l'arroganza». Lo canta davanti a un pubblico che già dal mattino girava per Bologna con sciarpe e magliette e cantava «Vascooo Vascooo» già da metà pomeriggio in uno stadio spruzzato ogni tanto da una noiosa pioggerella. «L'artista deve provocare per mantenere sveglie le coscienze. E chi non capisce si innervosisca pure». Come a dire, il nostro compito non è fare campagna elettorale, ma evitare disinteresse e rassegnazione.

E di certo i quarantamila del Dall'Ara sono tutt'altro che rassegnati (stasera, l'11 e il 12 le altre tre date) e lui può anche cantare «L'amore l'amore» ma rimane duro e puro come quando invece degli stadi riempiva i localini di provincia. Poi sboccò a Sanremo: «Tornare come ospite? Ci sono già stato, ho già riportato il microfono. Tornarci in gara? Non ho più l'età». Ha l'età invece per un nuovo brano perché «dischi non se ne fanno più». Uscirà forse in autunno e poi la prossima estate Vasco tornerà negli stadi, anche a San Siro: «Quest'anno non ci sono venuto perché ci sono troppe superstar - ironizza -. Ma il prossimo anno lo prenoto per un mese».

E non lo dice tanto per dire.

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