Coronavirus

Coronavirus, vendite a picco nei negozi cinesi

La paura per il coronavirus sta facendo registrare un calo nelle vendite in diversi negozi gestiti da cinesi. A Napoli ci sono store che rischiano la chiusura

Coronavirus, vendite a picco nei negozi cinesi

I locali sono vuoti. I commercianti dietro ai banconi aspettano invano che entri qualcuno. Nei negozi gestiti dai cinesi la paura per il coronavirus si sta facendo sentire, riducendo drasticamente le vendite. È questo il quadro che viene fuori da un tour tra decine di attività commerciali presenti nel centro di Napoli. A confermare il calo è il rappresentante della comunità cinese in Campania, Wu Zhiqiang, che fornisce anche dei dati: “C’è una crisi, un calo del 50% nei negozi e del 70-80 % nei ristoranti cinesi”. “Lì, nei ristoranti – teme - stanno chiudendo veramente. Ogni giorno bisogna pagare cuochi e camerieri. Eppure gli ingredienti che usano sono vostri, sulle fatture i fornitori di carne, del pesce, sono italiani. Il cinese non va in Cina a comprare”.

Wu si fa chiamare Salvio. Tra i cinesi residenti a Napoli lo definiscono il “sindaco”. Non si presta a un’intervista in video. Dice che nella comunità hanno deciso così. Teme che le sue dichiarazioni possano essere distorte. E la sua paura di parlare davanti a una videocamera è la stessa che abbiamo trovato in ogni commerciante di origine cinese in cui ci siamo imbattuti in tutta l’area compresa tra le Case Nuove, il Vasto e piazza Garibaldi, una fetta di territorio dove da anni il commercio cinese fa affari, con tanti negozietti di bijoux, abbigliamento, scarpe, con supermercati e qualche ristorante. I locali oggi si presentano nella maggior parte deserti, ma gli esercenti – quando parlano - si limitano a dire che va tutto bene, che non è cambiato niente e che non vogliono farsi intervistare. C’è chi, davanti alla parola “coronavirus”, si chiude immediatamente a qualsiasi forma di dialogo.

“Una sola persona è entrata da stamattina. Quando ci ha visti, è uscita subito”, si è limitata a raccontare a microfoni spenti una giovane esercente, una delle poche che ammette lo stato di crisi.

. Solo una commerciante accetta di raccontare il momento drammatico che sta vivendo la sua attività. “Da una settimana qui non viene più nessuno. Da stamattina non ho proprio lavorato, sono entrati solo due africani”, rivela a metà giornata. Ha un negozietto in via Firenze, a due passi da piazza Garibaldi e dalla stazione ferroviaria centrale. “Se va avanti così, rischio di chiudere”, prevede. Dice che paga un affitto di 600 euro al mese, poi il condominio e, di questo passo, non avrà altra scelta. Oltre a subire la flessione delle vendite che sta decimando la sua attività, negli ultimi giorni la negoziante sarebbe stata anche vittima di un episodio di intolleranza: “Qualcuno mi ha detto: cinese, vai via, tu hai il virus”. “Io ho provato a tranquillizzare – ha raccontato – Gli ho detto: io sono stata sempre qua, manco da quasi un anno dalla Cina”. “Non si può dire così – sbotta – il problema è in Cina, qui siamo in Italia”.
commerciante cinese

In questa situazione preoccupante, sembrano non risentire della crisi solo quegli esercizi commerciali dove gli avventori sono principalmente cinesi o altri immigrati. In corso Novara si trovano due supermercati dove il viavai dei clienti è continuo. A entrare sono soprattutto cinesi e africani, in una zona multietnica di Napoli, vicino alla stazione centrale. Poco distante si trova un ristorante cinese, all’ingresso troviamo un giovane cameriere. Dice che non sono disposti a un’intervista, però spiega che i loro clienti sono soprattutto cinesi e che, per questo, non stanno risentendo degli effetti negativi generati dal Coronavirus sul commercio locale. “Un mio amico ha un ristorante di sushi. Lui sì che sta avendo problemi – prova a spiegare – Prima andavano a mangiare fino a 100 persone al giorno, ora non entra più nessuno”. Wu Zhiqiang conferma il crollo dei ristoranti sushi: “In Italia l’80 percento dei locali di sushi sono condotti dai cinesi, e pure loro sono in crisi”.

Il “sindaco” dei cinesi napoletani e di tutta la Campania prova a tranquillizzare, parlando dell’impegno della comunità nella prevenzione e della collaborazione a Napoli con l’Asl e con il Comune per censire la popolazione dei cinesi a Napoli e nella gestione dei casi sospetti. Mostra i gruppi di whatsapp su cui avviene lo scambio di informazioni con la sua comunità, una comunità che in diverse città italiane si sta mettendo in autoisolamento in case e alberghi, una precauzione adottata autonomamente per bloccare ogni minimo rischio di contagio. Wu elenca le città e le aree dell’Italia dove delle strutture sono state predisposte per l’autoquarantena: “Torino, Prato, Brescia, Mantova, Palermo, Napoli, Trentino e Riviera adriatica”. “È la comunità che paga – dice – è una cosa nostra”. “A Napoli – chiarisce - non lo stiamo ancora facendo, perché siamo in contatto con l’Asl e loro dicono che basta che ci chiudiamo dentro. Ma questo non basta, ci vuole una sorta di protocollo di sicurezza”. Un protocollo a cui sembra che si stia lavorando, ma non vuole anticiparci nulla: “Non c’è ancora nulla di definitivo”.

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