Napolitano ai politici: «Non siate gelosi di me»

RomaBandiere, applausi, folle in delirio, un indice di gradimento che sfiora l’80 per cento. Quando esce dal Quirinale, ormai viene accolto come una stella del rock. Qualche politico italiano forse è invidioso? Bene, si metta il cuore in pace. «Non c’è nessun motivo di ingelosirsi - risponde Giorgio Napolitano - perché viaggiamo su pianeti diversi. Ogni comparazione sarebbe impossibile, arbitraria. Io non mi preoccupo molto di chi mi tira per la giacca. Il compito del capo dello Stato è rappresentare l’unità nazionale, quello dei leader politici e dei dirigenti dei partiti è completamente differente». Chissà, forse il messaggio è diretto a Silvio Berlusconi: è stato il Cav poco tempo fa a proporre una revisione dei poteri del presidente della Repubblica.
Ma la popolarità fa piacere a tutti e Napolitano, in un incontro con la stampa estera, non fa nulla per nasconderlo: «Lo posso dire da politico che si è ritirato da tempo da posizioni di parte, è normale che di guardi al presidente in relazione alle sue funzioni assegnate dalla Costituzione. E certi livelli di consenso nei confronti del capo dello Stato vanno messi in rapporto allo sforzo in cui mi sono personalmente impegnato nelle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia». Le manifestazioni, spiega, sono andate benissimo e «hanno raggiunto una profondità e una partecipazione che sono andati oltre tutte le aspettative e tutte le mie speranze». Eppure c’erano, alla vigilia, «molte zone di reticenza e di scetticismo», però alla fine «la risposta della gente è stata molto alta e ha provocato un senso nuovo di attaccamento al Paese, al di là delle preferenze politiche».
Quanto alla situazione politica interna, siamo alle solite, c’è «troppa hypèrpartisanship», troppa partigianeria. Sarà il periodo della campagna elettorale, sarà che da noi si fa solo politica gridata, resta il fatto che in Italia si confronta principalmente a base di insulti e di accuse non suffragate dai fatti. Il Colle lancia appelli continui ad abbassare i toni. «Questo è un Paese complicato, sia dal punto di vista istituzionale che politico.

A proposito di questo, io cito sempre quello mi disse una volta un ambasciatore americano: “Capire la politica in Italia è molto difficile, però non ci si annoia mai”». Certo, a volte siamo autoreferenziali, «ma occuparsi di se stessi è una sindrome che non colpisce solo l’Italia». Come l’antieuropeismo, che si combatte trasformando la Ue in «un global player».

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