Napolitano chiede coraggio alla sinistra

RomaLa telefonata «calorosa» di «apprezzamento» di Silvio Berlusconi arriva mentre il capo dello Stato ha appena finito di ripiegare i suoi fogli e ha lasciato lo studio per il cenone con famiglia. Il commento acido di Antonio Di Pietro invece arriva solo la mattina dopo, quando il senso del messaggio presidenziale di Capodanno è già emerso in tutta la sua chiarezza: «Un discorso condivisibile per i suoi buoni propositi - dice il leader dell’Idv - ma resta il nostro no alle leggi ad personam sulla giustizia. Sono convinto che il presidente della Repubblica stavolta non firmerà certi orrori».
E già perché, stavolta, il menu del Colle è pieno di «speranza» e di inviti al «coraggio» ma ha un piatto forte, la richieste di riforme. Quali? Il fisco, certo, perché famiglie e imprese annaspano nonostante i miglioramenti dall’ultimo anno «grazie al grande sforzo compiuto» e ai provvedimenti del governo. E, come no, pure gli ammortizzatori sociali, perché la disoccupazione è un problema serio. Ma per Giorgio Napolitano ci sono due cose forse ancora più urgenti, che vanno sistemate «subito», che «non possono essere rinviate e tenute in sospeso. E cioè la giustizia e l’assetto istituzionale, «che non sono seconde alle riforme economiche e sociali perché da esse dipende il funzionamento dello Stato e il corretto sviluppo del Paese».
Aggiustamenti urgenti da fare «nell’interesse generale» e che «non possono rimanere bloccati da un clima di sospetto e da opposte pregiudiziali». Quanto alla Costituzione, la cui copia originale fa bella mostra di sé nella diretta televisiva con tanto di zoom sulla firma autografa di Enrico De Nicola, non è un totem intoccabile, spiega Napolitano, tutt’altro: «La Carta può essere rivista, come d’altronde si propone da diverse sponde politiche». E qui entra in gioco «il coraggio» che soprattutto l’opposizione dovrebbe far vedere: «Bisognerebbe contenere il linguaggio e la polemica. Ho consigliato misura, realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una condivisione quanto più larga possibile e come ha recentemente suggerito anche il Senato». Alla maggioranza invece chiede di mettere a punto provvedimenti a prova di Consulta: «L’essenziale è che siano sempre rispettati gli equilibri tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia e che ci siano regole in cui si riconoscano maggioranza e minoranza». Nulla osta quindi per il Colle, sembra di capire, a nuovi lodi o patti, purché «ampiamente condivisi» e robusti da punto di vista costituzionale.
Per la prima volta Napolitano sembra quasi ottimista: «Voglio esprimere fiducia che in questo senso si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili recriminazioni e contrapposizioni». Dopo il lancio della Madonnina in piazza del Duomo il clima è cambiato, il Pd di Bersani sembra propenso al dialogo, anche se deve affrontare due problemi non da poco: il rapporto con Di Pietro e le elezioni regionali. Il capo dello Stato si sforza di tenere accesa la fiammella. Dialogo è una parola bandita. Meglio parlare di «tessuto connettivo», di valori comuni. «In realtà non è vero - spiega - che il nostro Paese sia diviso su tutto, anzi è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica, tensioni che è mio dovere sforzarmi di attenuare. È uno sforzo che mi auguro possa dare i suoi frutti, come è sembrato dinanzi a un episodio grave, quello dell’aggressione al presidente del Consiglio». Ecco, per evitare altre violenze «si dovrebbero contenere anche nel linguaggio, pericolose esasperazioni polemiche, si dovrebbe contribuire a un ritorno di lucidità e di misura».
Da qui «la speranza» di Napolitano, che di fronte alla crisi ha «più fiducia di un anno fa» perché ha visto un’Italia capace di «fare sistema», con un tessuto sociale che ha retto.

Ora però serve un altro «sforzo» per sciogliere i vecchi nodi che pesano sulla vita economica e sociale (ammortizzatori, pressione fiscale, debito pubblico, protezione dei più deboli, squilibrio Nord-Sud). Si devono rimuovere queste «antiche contraddizioni», con scelte «che non possono essere più rinviate».

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