Napolitano-Maroni, strappo sulla Libia

RomaRitirarsi? No, non abbandoneremo la Libia, non se ne parla nemmeno: la Lega se ne faccia una ragione. «È un nostro impegno, sancito dal Parlamento, restare schierati con le forze degli altri Paesi che hanno raccolto l’appello delle Nazioni Unite». E pure sugli sbarchi, dice Giorgio Napolitano, nessun cambio di linea: «È giusto sollecitare collaborazione a livello europeo, ma non ci si può adagiare su chiusure nazionalistiche. Ci sono delle responsabilità a cui nessuno Stato civile può sottrarsi».
Dopo le parole di Bossi e Maroni a Pontida, lo scontro era nell’aria. E se sulla storia del trasferimento al nord di alcuni ministeri il Quirinale ha scelto un diplomatico silenzio, sulla Libia il presidente della Repubblica non poteva certo tacere. Tenere la barra ferma in politica estera, spiegano sul Colle, non è questione di destra e sinistra, di maggioranza e opposizione, ma di «credibilità del Paese». Neanche Roberto Maroni però fa marcia indietro: «Ribadisco la posizione già espressa a Pontida, e cioè la richiesta al presidente del Consiglio di dire quando terminerà l’impegno in Libia. È l’unico modo per fermare lo sbarco dei clandestini».
Dunque, non è solo uno slogan per un’adunata, una frase buttata lì una domenica in un prato lombardo assolato e affollato: il ministro dell’Interno considera il disimpegno dalla missione, insieme alla riforma fiscale e a una modifica del patto di stabilità dei comuni, parte integrante del pacchetto delle richieste del Carroccio al governo. Le conseguenze dello strappo leghista sulla tenuta della maggioranza saranno misurate nei prossimi giorni. Intanto Franco Frattini si schiera con Napolitano. «L’Italia - dice - rispetterà l’impegno già assunto. La Nato ha fissato un termine alla fine di settembre, i costi sono stati già stanziati e individuati, la coerenza con le responsabilità internazionali non mancherà». Ma per il ministro degli Esteri le armi non bastano, «bisogna lavorare duro per una soluzione politica e la prossima conferenza prevista in Italia sarà l’occasione per parlare di pace». Più sfumata la posizione di Ignazio La Russa: la missione deve andare avanti, però, sostiene il ministro della Difesa, «visto che ci siamo impegnati per tre mesi, immaginare una data in cui far cessare almeno i raid aerei è un argomento che si può affrontare».
Napolitano invece cerca di tenere al riparo le scelte internazionali, sulle quali «non si può giocare», dai conflitti politici interni. Sulla missione libica tra l’altro lui si è parecchio esposto personalmente. «L’Italia - ricorda intervenendo alle celebrazioni dell’Unhcr, davanti all’alto commissario per i profughi Antonio Guterres - non poteva guardare con indifferenza o distacco agli avvenimenti di un Paese a noi così vicino e con cui abbiamo nel tempo stabilito rapporti così intensi. Non poteva rimanere inerte di fronte all’appello Onu perché si proteggesse una popolazione che chiede autonomia, giustizia e democrazia e la si proteggesse dalla feroce repressione del regime di Gheddafi».
Certo, ci sono dei prezzi da pagare. «Il flusso migratorio è destinato a crescere, in particolare a Lampedusa, e pone problemi non lievi alla nostre amministrazioni e istituzioni».

Ma non ci si può illudere, dice ancora il capo dello Stato, «di esorcizzare la realtà di una pressione alle nostre porte mossa dall’aspirazione alla pace e alla vita di tanti diseredati». Ci sono dei «vuoti da colmare nella legislatura e nel sistema di accoglienza», ma l’Italia «sta dando buona prova». Ora però «si aspetta l’Europa».

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