Roma - Franco Marini? Una scelta «obbligata», «rigorosa», «saggia» e anche «equilibrata», visti i mugugni in arrivo dal Pd per la mancanza di un mandato pieno. Una scelta irrituale? Forse. Ma del resto, spiegano dal Colle, non c’è un rito da seguire, non c’è una strada prefissata, non c’è una norma che stabilisca quali incarichi di governo possa dare il presidente e quali no. Non esiste insomma, come certifica l’ufficio giuridico del Quirinale, «nessuna griglia di regole per risolvere le crisi». In questi casi il capo dello Stato può e deve trovare la soluzione che considera più adatta.
Il giorno dopo, un filo di pessimismo aleggia nel palazzo dei Papi. La parola d’ordine è «attesa e rispetto» nei confronti del lavoro del presidente del Senato, che deve verificare la possibilità di formare una maggioranza per una riforma elettorale. La risposta di Marini è prevista per martedì o mercoledì. Se sarà negativa, probabile lo scioglimento o tutt’al più un governo elettorale. Ufficialmente nessuna opzione è esclusa perché «la politica è l’arte del possibile». Nel frattempo Giorgio Napolitano ha deciso di tenere un profilo bassissimo. Addirittura, per non dover parlare ancora con il gruppo dell’Udeur, ha fatto slittare di una settimana la riunione del Csm sul caso-Mastella.
Quanto alle critiche sulla scelta di Marini, il capo dello Stato si sente con la coscienza a posto e con la Costituzione dalla sua parte. Nessun tentativo di dilazione, nessuna alchimia di palazzo, si ripete, ma soltanto la presa d’atto di una situazione. Già dopo la crisi del primo governo Prodi, esattamente un anno fa, tutti i partiti consultati, compresi quelli di centrodestra, avevano convenuto sulla necessità di rivedere la legge elettorale. E prima della crisi del Prodi bis, ricordano sul Colle, in Parlamento si erano «aperti spiragli» di dialogo per cambiare l’attuale sistema di voto con uno capace di garantire una maggiore stabilità e governabilità. Con il disgelo Berlusconi-Veltroni si era arrivati abbastanza vicini a un accordo: agli atti c’è la bozza Bianco, sia pure in diverse versioni. A tutto ciò bisogna aggiungere il referendum, approvato definitivamente dalla Corte Costituzionale, cioè un altro forte input a cambiare le cose.
A queste premesse si sono sommati cinque giorni di consultazioni che, agli occhi del presidente, non sono bastati per stabilire se la maggioranza delle forze politiche volesse tentare ancora di raggiungere un’intesa o se preferisse tornare velocemente alle urne. A rafforzare il fronte del non-voto subito, le prese di posizione di Confindustria, Conferenza episcopale, sindacati e Confcommercio. Di fronte a questo quadro Napolitano ha ritenuto «un dovere» convocare il presidente del Senato, seconda carica istituzionale della Repubblica, e affidargli il compito si verificare se lo stretto margine che si era intravisto fosse concreto o no. D’altro canto, come ha detto lo stesso Napolitano, lo scioglimento anticipato è «la decisione più impegnativa e grave che la Carta affida al capo dello Stato».
Da qui il mandato finalizzato. Una scelta che viene definita «rigorosa» e a prova di bomba. Già delimitare un perimetro e indicare dei punti di programma significa ridurre il campo d’azione dell’incaricato. Le maggiori riserve, si nota, sono di tipo giornalistico e politico e giungono da entrambe le parti.
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