Roma Macché passo indietro, ma quale retromarcia. Giorgio Napolitano tiene botta. Anzi, rilancia la sfida proprio sul terreno preferito del Cavaliere, il consenso popolare: io ho fatto la cosa giusta, dice, «e i cittadini mi capiranno». Formalismi di Palazzo? No, spiega, si è trattato di prendere «decisioni difficili e necessarie». Eutanasia mascherata? No, insiste, ho solo fatto una scelta «obbligata» dalla Costituzione e dal mio ruolo di presidente della Repubblica. Certo, non firmare il decreto è stato un passaggio lacerante, perché come uomo e come capo dello Stato sono «accanto a chi soffre». Eppure era un passaggio senza alternative. E a Silvio Berlusconi che sperava «in un ripensamento del Quirinale», risponde che «nessuno ha il monopolio della vicinanza alle persone che giungono alla fine della vita» e nemmeno di quale sono le soluzioni più giuste. «I cittadini mi capiranno».
Giorgio Napolitano aspetta di arrivare nella sua Napoli per interrompere le sedici ore di silenzio che hanno seguito il drammatico botta e risposta protocollare con Palazzo Chigi. E mentre dalla Sardegna Silvio Berlusconi continua a parlare del caso di Eluana, il capo dello Stato attende fino al tardo pomeriggio per replicare. Dopo aver assistito al teatro San Carlo alle prove generali del concerto diretto da Riccardo Muti e aver esortato la città a riprendersi dai suoi guai, il programma della visita lo porta all’istituto Pascale, un centro oncologico all’avanguardia nella regione, dove deve inaugurare un nuovo strumento per la diagnosi precoce del tumore alla mammella.
È l’occasione giusta. Il presidente parla a braccio, si commuove ricordando due amici di infanzia, Didì e Luigi, morti recentemente di cancro, poi chiarisce la sua posizione sul caso-Englaro. «Il sentimento di vicinanza e di partecipazione nei confronti delle persone che lottano contro la malattia - dice - e anche per le persone che giungono alle soglie estreme della vita è forte in ciascuno di noi e non è monopolio di nessuno. Anche quando si devono prendere delle decisioni delicate nell’esercizio delle proprie funzioni con il necessario rigore, io conto sulla comprensione dei cittadini e di quanti sono qui».
Poche parole, sette righe appena, ma bastano per riaffermare quelli che agli occhi del presidente sono dei punti fermi. Primo. Si è trattato di una «decisione delicata» per gli ovvi profili etici e religiosi che ci sono dietro, ma obbligata «per l’esercizio della funzione» di capo dello Stato. Una materia così scivolosa, per il Quirinale, non può essere decisa con un decreto, tanto più dopo una sentenza non più appellabile della Cassazione: serve una legge ordinaria sul testamento biologico, come il Colle chiede da mesi. Secondo punto. Anch’io sto dalla parte di chi soffre, dice Napolitano: sono padre e nonno, conosco il dolore e non ho fatto una scelta a cuor leggero. L’eutanasia non c’entra nulla. Terzo. Non esiste «il monopolio della vicinanza», quindi è sbagliato e pericoloso trasformare questa vicenda in una guerra di religione, come sta già accadendo, tra opposte manifestazioni, appelli, sondaggi, blog. Quarto. «I cittadini capiranno», mi daranno ragione, Berlusconi forse stavolta ha sbagliato i calcoli.
Dunque il ghiaccio con Palazzo Chigi per ora non si scioglie. Le parole (parzialmente) distensive non bastano a richiudere una crepa che, sostengono sul Colle, Napolitano ha fatto di tutto per non aprire.
Preoccupa semmai di più lo strappo con il Vaticano. C’erano rapporti «eccellenti» e di «reciproco rispetto», peccato comprometterli. Si cercherà quindi presto «un chiarimento» con la Santa Sede.
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