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La Nato: basta giochetti sull’Afghanistan

I comandanti militari chiedono di rispettare gli impegni per l’invio di truppe e mezzi: nel mirino Germania, Turchia, Danimarca e anche l’Italia

Andrea Nativi

«Abbiamo bisogno di almeno altri 2.500 soldati in Afghanistan, mentre i Paesi che già avevano promesso truppe e non hanno adempiuto pienamente ai loro impegni devono inviare i mezzi e i soldati che mancano all'appello». Il generale canadese Ray Henault, capo del Comitato militare Nato, il massimo organismo militare dell'Alleanza, ha rilanciato da Varsavia l'appello già enunciato a chiare lettere dal comandante supremo, il generale James Jones. E oltre alle truppe servono aerei da trasporto tattico e un congruo numero di elicotteri da combattimento, perché è solo per via aerea che si può fornire rapidamente supporto di fuoco, rifornimenti e rinforzi ai contingenti e alle guarnigioni attaccate nelle regioni più impervie.
I comandanti Nato per una volta si lamentano apertamente, ne hanno abbastanza dei giochetti e delle ritrosie di troppi paesi membri che a parole si dicono pronti all'impegno in Afghanistan, ma poi fanno mancare i soldati che avevano assicurato o si oppongono al trasferimento delle loro truppe dalle regioni relativamente più tranquille e pacificate a quelle più turbolente, dove servono subito rinforzi. Le critiche più pesanti sono rivolte alla Germania, che mantiene i suoi 2.700 soldati essenzialmente nelle pacifiche province settentrionali, ma anche Paesi come Turchia o Danimarca fanno orecchie da mercante. L'Italia è in una situazione intermedia, i soldati li ha mandati, ma è restia a farsi coinvolgere in operazioni di combattimento. Inoltre ha rifiutato di inviare quei cacciabombardieri ed elicotteri da combattimento che sarebbero utilissimi per aiutare i contingenti impegnati in combattimento, compresi quelli italiani. Per non parlare della sceneggiata sull'impiego delle forze speciali: ce le teniamo strette, ma diventerebbero preziose se Roma le autorizzasse al combattimento nelle task force congiunte.
E sì che la situazione sul terreno non è così drammatica come viene raccontata. Ne è un esempio l'operazione Medusa, lanciata da Isaf, la forza Nato, nella zona di Kandahar: solo negli scontri di venerdì e sabato sono stati uccisi 40 guerriglieri, contro la perdita di un soldato Nato. Dal 2 settembre i talebani uccisi sono stati 300-350. E le tattiche aggressive usate dai guerriglieri, che nel corso dell'estate hanno addirittura lanciato attacchi frontali in massa contro piccole guarnigioni Nato si sono rivelate suicide: i talebani hanno subito quasi 1.000 morti e innumerevoli feriti. E sono stati costretti a tornare a tattiche mordi e fuggi.
C'è quindi l'opportunità di assestare altri colpi alla guerriglia e porre le condizioni per passare alla stabilizzazione e alla ricostruzione, purché sia possibile mantenere sul terreno una presenza militare visibile, consistente e continua. O almeno aumentare la concentrazione di truppe spostando i soldati da un settore all'altro, a seconda delle necessità operative. I comandanti Nato non vogliono che i propri uomini combattano duramente, subiscano perdite e ottengano successi tattici che poi rischiano di essere sprecati. Isaf ha per ora 18.500 soldati, compresi circa 2.000 statunitensi. Altri 18.000 soldati Usa sono inquadrati nella operazione controguerriglia Oef a guida americana. Nei prossimi mesi la Nato dovrebbe assumere la responsabilità della sicurezza anche nelle province orientali del paese, le più destabilizzate e il grosso delle truppa Usa sarà ricondotto sotto Isaf.

Ma questo processo, che si doveva concludere entro l'anno, è messo a rischio dai tentennamenti provocati dai fermenti di politica interna nazionale, come quelli di cui l'Italia è protagonista.

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