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La natura lavora e se ne infischia degli Al Gore

Caro Granzotto, mi appello alla sua onestà intellettuale per darmi ragione su un fatto. Conosco la sua posizione sul noto problema del riscaldamento globale e devo dire che sarei tentato di condividerla se una constatazione empirica non mi confermasse in maniera inequivocabile che la temperatura media si sta in effetti paurosamente elevando. Mi spiego: per ragioni familiari da diverso tempo mi reco almeno una mezza dozzina di volte all’anno nella cittadina francese di Annemasse. Per giungervi percorro il tunnel del Monte Bianco e non manco quindi di osservare il ghiacciaio del Brenva posto praticamente all’imbocco della galleria. Stando alle mie osservazioni (testimoniate da una serie di fotografie) nel giro di qualche anno quel ghiacciaio si è velocemente dissolto ed ora non c’è più. Resta solo del pietrisco. Sia sincero, di fronte a un fenomeno del genere, come è possibile negare la sussistenza di un mutamento climatico e relativo aumento delle temperature?


Se ci riferiamo a ciò che ha l’aspetto di un mutamento climatico, nulla da obiettare, caro Vallet. Ma se lei intende un mutamento climatico di origine antropica, ovvero determinato dalle attività dell’uomo, allora proprio non ci siamo. Naturalmente non metto in dubbio il risultato delle sue osservazioni del ghiacciaio del Brenva, che tuttavia contrastano col fatto che nel brevissimo giro di due anni la calotta principale del Bianco è aumentata di oltre due metri (portando il monte a 4.810,90 metri di altezza) e la massa totale del volume di ghiaccio è passata dai 14.600 ai 24.100 metri cubi. Un dato che, per usare i suoi criteri di stima, smentirebbe la presenza del global warming. Lei avrà poi sicuramente letto del rinvenimento, sulle vette delle Dolomiti, dei resti di soldati della Prima guerra mondiale che il ghiaccio, sciogliendosi, ha portato alla luce. Lì per lì ciò confermerebbe la teoria del riscaldamento globale, se non fosse evidente che quando quel soldato morì, lassù ghiaccio non ce n’era. Si formò dopo, conservando il cadavere fino al successivo disgelo. E a nessuno viene in mente di parlare di riscaldamento globale nei primi anni del secolo scorso.
Ma andiamo ancora più indietro nel tempo. Uno degli argomenti preferiti dai profeti dell’ambientalismo catastrofista è lo scioglimento dei ghiacci del Polo per colpa dei gas di serra prodotti da industrie e tubi di scappamento. Bene, nel mio Calepino, alla voce «Ecologia», sottovoce «Bufale», ho recentemente aggiunto le righe che ora le trascrivo: «Un considerevole cambiamento di clima, inspiegabile al presente, deve avere avuto luogo nella Regione Circumpolare, per la quale la severità del freddo che ha per i secoli passati chiuso i mari alle alte latitudini in una impenetrabile barriera di ghiaccio, è stata, durante gli ultimi due anni, in gran parte abbattuta. Duemila leghe quadrate di ghiaccio sono interamente scomparse». Si tratta del brano d’una relazione della Royal Society all’Ammiragliato britannico. In data 20 novembre 1817. La morale, caro Vallet, è questa: primo, la natura fa quello che le pare, infischiandosene di quello che fa o non fa l’uomo. Secondo, se abbia deciso di darsi al freddo o al caldo, nessuno può dirlo con certezza.

Terzo, per stabilire la direzione e l’entità di un mutamento climatico planetario non ci si può affidare a fenomeni temporanei e locali (tipo «abbiamo avuto due estati torride» o dedurne, mi scusi, sa, dall’aspetto del ghiacciaio del Brenva l’andamento). Quarto, la scienza che studia i fenomeni geologici e meteorologici è cosa troppo seria per lasciare che vi si trastullino i Pecoraro Scanio e gli Al Gore.

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