Nei 100 il Cielo in una vasca: il Brasile ha il Kakà del nuoto

RomaSul podio va un fratello d’Italia, ha la faccia simpatica di quei brasiliani che dicono la parola «felicità» godendone tutto il significato. Non è Kakà, ma forse è l’altra faccia di Kakà. Guarda il cielo e ci si ritrova, perché lui è Cesar Cielo, nome profetico per una medaglia d’oro. Guarda il cielo e dice ai bisnonni che stanno lassù. «Eccomi, mi ha avete visto? Cari nonni ciao, ce l’ho fatta». Ha ventidue anni e ci teneva ad avere un rapporto con l’Italia. I bisnonni sono della terra nostra, di origine trevigiana, e Cesar è un ragazzo che mostra i sentimenti. Le parole, eppoi anche le lacrime che scendono, come fosse un ragazzino di cinque anni appena sgridato dalla mamma. Li stropiccia, prova a cantare l’inno ma non riesce a fermare le lacrime. Fa tenerezza, la gente di Roma se lo coccola, comincia l’applauso, strappa sorrisi quanti ne ha strappati Federica Pellegrini.
C’è qualcosa di nostro in quel ragazzo e si vede: Cesar che poi era il nome del bisnonno Cesare, il sangue degli avi, il costume superjet di una marca italiana, il modo di porgersi. Da settembre avrà anche il passaporto italiano. L’anno scorso Cielo vinse l’oro nei 50 stile libero ai giochi di Pechino, ma gli diedero la medaglia sbagliata: era quella dedicata alle donne. Poi gliela cambiarono. Stavolta ha controllato. Nei cento fu bronzo, prese appunti sul francesone Alain Bernard. E ieri ha messo in pratica. Lo ha cucinato a fuoco lento, andando come un siluro. Avvolto nella tuta nera, sembra un pescecane, di quelli spaventosi: m.1,95 per 80 kg. E quando ha toccato la piastra si è sentito il franare dell’ennesimo muro del nuoto, sotto i 47 secondi: 46”91. Non c’era mai arrivato nessuno con costume omologato. Ce l’aveva fatta Bernard (46”94), ma il costume non era regolare. Bernard gonfio come Ben Johnson ha la faccia del grande antipatico. Bosquet, l’altro francese, solo il terzo incomodo. Finale da jet, 47”12 per l’argento, in sette sotto i 48”. Non era cosa per Magnini.
Cielo si era preparato a tutto. Più forte davanti agli avversari che nel saper gestire l’emozione. In questo è un brasiliano tipico. «Quando sente l’inno, vedo la bandiera…. In Brasile non vinciamo spesso nel nuoto, è un’emozione che non potrò mai dimenticare». L’aveva detto anche dopo l’oro di Pechino, ma stavolta aveva puntato su stesso. Aveva detto: «Mi sto impegnando per essere la stella di Roma». Operazione compiuta. «E adesso tutto è un sogno, credo di aver raggiunto i miei limiti».
A Roma c’è tutta la famiglia: la mamma che gli cura il sito internet, il papà medico che l’ha avviato al nuoto, dopo averlo distolto da judo e pallavolo, la sorella che studia. Una famiglia molto unita. «Ed io dedico a loro e al mio allenatore la medaglia. Ho lavorato duro. Ora è fantastico. È il mio primo record del mondo».
L’ultimo oro mondiale di un nuotatore brasiliano risale a 27 anni fa (400 misti), storie di orfanelli nella terra dei nababbi calcistici. Cielo non ha mai pensato al calcio. Dice: «A me piace la pallavolo, abbiamo una nazionale famosa». Però le sue origini sono nello stato di San Paulo dove vivono almeno 13 milioni di oriundi italiani. Buon sangue non mente. Essere il Kakà del nuoto comincia a dare frutti con gli sponsor. Ma parliamo di altre cifre. Kakà è il giocatore preferito di Cesar. Gli piacerebbe avere parte della sua popolarità. «Ma vorrei anche i suoi soldi».

Realista ed essenziale, veloce nel realizzare l’essenza della fama. Parla come nuota: un fulmine. Legge libri di psicologia, studia la vita di personaggi famosi. Non è Kakà, ma un modello di sportivo moderno. L’altra faccia del cielo.

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