Nei preti di Leskov c'è l'anima della Russia

Daniele Abbiati

Nicolaj Semënovic Leskov era un credente. E non è qui il caso di sottilizzare se «vecchio», cioè simpatizzante degli scismatici allontanatisi, alla metà del Seicento, dalla Chiesa ortodossa a causa della sua grecizzazione, o nuovo, cioè obbediente ai modi e alle forme dettate dai vari patriarchi. Perché lui credeva, oltre che in Dio, nel popolo russo. Ne amava anche e soprattutto i difetti, sapeva vestirli di trame e figure chagalliane, di atmosfere da favola, di personaggi sempre in bilico fra vodka e santità, fra crimini e devozione. Per questo I preti di Stargorod è il suo capolavoro: perché racconta di religiosi talmente religiosi da essere laicamente ecumenici, figli della terra e insieme nipoti del cielo.

I preti di Stargorod sono l'arciprete Tuberozov, nume tutelare della propria comunità che non le manda a dire al potere politico, soprattutto a quelli di Pietroburgo (e mal gliene incoglie); padre Benefaktov, un don Abbondio circoscritto nell'orizzonte del quieto vivere; e il diacono Desnicyn, per tutti semplicemente Achillà, rude e bambinesco, focoso e sentimentale, terragno ed evangelico, qualche cosa a metà tra il frate Tuck compagno di Robin Hood e il Salvatore del Nome della rosa. Siamo nel 1872, Leskov ha già avuto a sua volta a che fare, dieci anni prima, con quelli di Pietroburgo, cioè con le autorità secondo lui colpevoli di aver messo la sordina alle violenze dei nichilisti, e quella che ci presenta vuole essere una «cronaca». Cronaca, ma non romanzo tradizionale, piuttosto una sequenza di tranche de vie tenuti insieme da Tuberozov e Achillà i quali agiscono rispettivamente da sovrano (illuminato quanto tormentato) e da proletario della spiritualità.

Intorno a loro, calcano le scene di questo teatro dei pupi leskoviano un saggio nano, un genio del male venuto dalla capitale, un maestro sinceramente ma ottusamente democratico e la sua possessiva madre, un sindaco doppiogiochista, un maresciallo della nobiltà

sorprendentemente generoso, la meschina moglie del direttore dell'ufficio postale... E poi la folla, maggioranza non silenziosa che preconizza future rivoluzioni. Quando le icone della fede verranno sostituite da quelle dei soviet.

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