«Io me ne vado a studiare». Uno dei titolari della libreria Cusl ha appena chiuso le porte del locale. Sono le 15.15 di pomeriggio e lorario di lavoro prevede che restino aperti ancora un paio dore. Ma ci sono gli squadristi fuori che glielo impediscono. Per la terza volta da quando sono iniziati gli scontri per la denuncia del furto delle fotocopie. Ci saranno una cinquantina di metri o poco più che dividono i ciellini dai giovani dei centri sociali che vorrebbero soltanto arrivare allo scontro. E fanno di tutto per provocare i ragazzi di Comunione e liberazione. Gli appendono i volantini con i loro nomi, proprio lì, di fronte allingresso della libreria. In due o tre fanno la ronda per vedere se qualcuno di loro reagisce. Si piazzano davanti alla porta con la sigaretta in bocca e in segno di spregio gli fumano in faccia. Masticano parolacce e insulti, ma non hanno il coraggio di entrare e rimangono lì fuori, sulla soglia. Ad una distanza di sicurezza e con gli altri che li spalleggiano.
«Cosa dobbiamo fare: se loro vogliono rimettere le scritte con i nostri nomi, che lo facciano pure. Non ci interessa», dicono esausti i ragazzi di Cl. Non ne possono più di questi assalti, non ne possono più di un assedio che va avanti da settimane ormai. Di vedere i loro nomi scritti sui muri, lungo le scale e nei bagni dellUniversità e di essere esposti ad un linciaggio pubblico. Fuori la musica dei centri sociali riempie latrio. Una voce racconta gli arresti dei cinque anarchici, parla delle loro porte di casa sfondate, di libertà violate e di case messe sottosopra dalla polizia. In sottofondo, una musica che sembra quasi un requiem. E poi di nuovo quel maledetto elenco dei nomi, ripetuto anche a voce.
Gli altri studenti passano veloci in mezzo a questinvasione che sembra tutto fuorché una mobilitazione studentesca. Una ragazza passa davanti ai banchetti dei centri sociali, fa una smorfia di disapprovazione. «Non se ne può più» sussurra e poi sparisce nel corridoio.
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