Tutti sulla «nuvola», la nuova frontiera dell'immaterialità. In meno di due settimane ben 20 milioni di persone si sono iscritte al servizio di gestione dei dati on line, ultima visione del futuro lasciata al mondo da Steve Jobs. LiCloud, lanciato il 12 ottobre, è l'apoteosi dellastratto, dellimmateriale che diventa parte della vita quotidiana: un infinito hard disk personale virtuale accessibile ovunque e da qualsiasi computer, tablet o smartphone, «smaterializzando» unintera parte della nostra vita: dalle foto ai contatti personali, dai video ai documenti, dalla musica alle applicazioni.
Altre aziende, vedi litaliana Telecom, si muovono sulla stessa scia. E cè da credere che tra non molto questo meccanismo, che consente una specie di ubiquità dei dati e dei ricordi diventi tuttuno con noi. Il meccanismo è semplice: scrivi una lettera sul computer e invece di salvarla sullhard disk che hai lì davanti a te la conservi in una memoria situata chissà dove, magari a mille chilometri di distanza. Col vantaggio di poterla recuperare in qualunque momento anche da un altro computer, in unaltra parte del mondo. Scatti una foto sulla macchinetta e la ritrovi automaticamente sulliPad, scarichi un brano sulliPod e lo ritrovi subito sul computer. Restano da valutare rischi e costi, ma sulla carta, è un meccanismo destinato a far sparire dalle nostre case, dai nostri computer oggetti «fisici» per renderli «virtuali».
Del resto è da tempo che viviamo una vita sempre più virtuale. Ma non è un processo senza resistenze e ripensamenti: sono ancora tantissimi gli oggetti che ci ostiniamo a conservare nella loro forma tangibile, a trattenerli nella nostra vita anche se potremmo sostituirli con surrogati tecnologici.
Abbiamo tutti le immagini memorizzate su una penna usb o sul pc, ma quando ne troviamo una che ci piace in modo particolare tendiamo a stamparla, a toccarla con mano, ad appenderla sulla parete della nostra stanza o a inserirla dentro una cornice. Lo stesso vale per gli articoli dei quotidiani. Sicuramente la tendenza è quella di leggerli al computer, o meglio ancora su cellulari o tablet. Ma chissà come mai, quando c'è un argomento che ci interessa, ecco che lo stampiamo, come se avessimo la necessità di possedere una prova tangibile. Una spiegazione scientifica di questo fenomeno ha provato a fornirla Matthias Horx, professore di evoluzione sociale, considerato uno dei più influenti futurologi tedeschi. In cosa consisterebbe la sua teoria? Semplice: nel potere. La chiave della resistenza al materiale sta nella concezione e nel nostro bisogno di potere. Per esempio, secondo Horx, nessuno è riuscito a eliminare la carta dai nostri uffici «perché vogliamo avere potere e il pezzo di carta in mano ce lo permette». Non c'è un ufficio o un appartamento che non abbia una stampante, che diventa quasi una fonte di prova tangibile, dandoci sicurezza e che ci garantisce la sensazione di poter esercitare un tipo di controllo. Controllo che una «nuvola» non riesce a dare. Al contrario, nel salvare documenti, rubriche e quant'altro su internet o su un software intangibile permane un senso di insicurezza, di mancanza di controllo e di potere appunto. Ma gli esempi possono continuare. Chi non ha ancora un calendario cartaceo in casa? Eppure su tutti i cellulari è a disposizione un'agenda in cui segnare gli appuntamenti. E poi ancora la rubrica personale. Molte persone tendono ancora a scrivere i numeri su quella cartacea. Così come gli appunti: si prendono ancora e spesso con carta e penna. Perché verba volant e scripta manent, o semplicemente per abitudine, per una sorta di conservatorismo che ci porta a essere restii di fronte all'immaterialità o ancora perché forse non ci fidiamo. E lo stesso discorso può valere per la lista della spesa, per un documento di lavoro.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.