Nel Novecento erano "ruggenti". Ora si sentono belati e sbadigli

I politologi discutono su affinità e divergenze tra la nostra epoca e quella del jazz. In comune (solo) la fine di una pandemia

Torniamo indietro di cento anni secchi. Ci troveremo proiettati all'inizio dell'irresistibile dinamismo di quelli che negli Usa vennero definiti Roaring Twenties. «Gli anni ruggenti» in cui esplodevano il cinema e la radio. In cui il mercato azionario galoppava a velocità stratosferica, esattamente come il mercato immobiliare della Florida. E mentre Hollywood si riempiva dei primi grandi divi del cinema muto, a partire da Rodolfo Valentino che nel 1921 aveva appena raggiunto l'apice del successo con I quattro cavalieri dell'Apocalisse, il Jazz iniziava a imperversare nella vita notturna, sull'onda delle improvvisazioni di Louis Armstrong.

Dopo una guerra spietata che aveva spostato gli equilibri del Mondo, regalando agli Usa un ruolo che è durato praticamente sino ai giorni nostri, e dopo una devastante pandemia influenzale da almeno 20 milioni di morti - la Spagnola - la vita ricominciò a fluire a ritmo di Charleston, veloce come un Quickstep. Per rendersi conto del vitalismo, come tutti i vitalismi venato anche di forze autodistruttive, di quell'epoca bastano due letture: Festa mobile di Ernest Hemingway e il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato nel 1925 con copertina scintillante e modernista.

Ma non solo la Parigi di Hemingway o la Long Island di Fitzgerald. Gran parte del pianeta si sente proiettato irresistibilmente in avanti. In Spagna si parla di Felices Años Veinte, persino nella Germania devastata dalla guerra o nell'Austria ridotta a periferia della sua storia si parla di Goldene Zwanziger. A Berlino non ha mai girato tanta droga e non ci sono mai state così tante feste, il Bauhaus crea una nuova idea del bello. Surreale? Beh il surrealismo è proprio figlio degli anni Venti del Novecento, il primo manifesto del movimento è del 1924.

Persino la Russia, funestata dalla guerra civile tra rossi e bianchi, che si chiuderà nel 1922, non è ancora nella morsa di Stalin. C'è chi crede nel sogno comunista e pullula di artisti: Ejzenstejn per il cinema, Esenin e il «cubofuturista» Majakovskij per la poesia, tanto per dire.

Insomma tra crisi e lisi il terzo decennio del XX secolo è stato un'esperienza al fulmicotone, una corsa fantastica che si è schiantata sulla crisi del 1929.

E il terzo decennio del XXI secolo?

In molti, a partire dal parallelo Spagnola nel 1918 e Covid diffusosi nel 1919, si sono chiesti se siamo in realtà accoccolati sulla scomoda, ma temporanea, soglia di un decennio ruggente.

Il dibattito è stato particolarmente vivace sui giornali inglesi e americani dove hanno fatto presa le idee, a partire da quelle del politologo Yascha Mounk della Johns Hopkins, di chi ha provato a tracciare un paragone. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma economisti come Eugene White, della Rutgers University, si sono sbilanciati dicendo che elementi della vivacità anni Venti si possono riscontrare anche in questi nuovi anni Venti: lo sviluppo record dei vaccini, il boom dei veicoli elettrici, sostanziali progressi in biochimica e nell'ambito dello sviluppo dell'intelligenza artificiale.

Sullo Spectator ha invece rifilato una bella doccia fredda a tutti il giornalista e commentatore politico Douglas Murray, noto al pubblico italiano soprattutto per La strana morte dell'Europa e La pazzia delle folle (entrambi Neri Pozza). Il suo scetticismo è evidente già dal titolo del suo articolo: «Gli anni 2020 saranno noiosi non ruggenti».

Murray ragiona molto sulla situazione inglese ma il suo responso globale è questo: «La legislazione che avrebbe dovuto essere temporanea è andata avanti. Le restrizioni destinate a essere limitate sembrano destinate a durare a lungo. Le persone a cui piace l'interferenza del governo nelle loro vite potrebbero essere felici. Le persone appassionate di sorveglianza e monitoraggio di massa potrebbero essere felici... E questo prima di arrivare al debito, all'inflazione e alla crescente incapacità di accumulare capitale che colpirà di nuovo in modo sproporzionato i giovani. Quindi, se questi anni Venti possono ruggire, allora eccellente. Buona fortuna a loro. Ma non scommetterei sulle loro possibilità».

Avrà ragione o torto Murray? Ce lo dirà il tempo. Però al momento la Coco Chanel degli anni venti del XXI secolo non si è ancora vista (Chanel numero 5 entrò in commercio proprio nel 1921). E non si parla di moda, si parla di una nuova concezione della donna che fu una vera rivoluzione: «Fino a quel momento avevamo vestito donne inutili, oziose, donne a cui le cameriere dovevano infilare le maniche; invece, avevo ormai una clientela di donne attive; una donna attiva ha bisogno di sentirsi a suo agio nel proprio vestito. Bisogna potersi rimboccare le maniche». Un po' diverso dal capzioso pasticcio sul gender in cui ci troviamo ora. Così come l'Harlem Renaissance, in degli Stati uniti ancora profondamente razzisti, fu un terremoto imparagonabile alla lotta di oggi per decidere che, con il bilancino, si deve far interpretare Maria Stuarda ad un'attrice nera. Non parliamo di rintracciare un Fitzgerald del XXI secolo, al momento gli Usa schierano Amanda Gorman come giovane promessa... Sulle orme di Murray si potrebbe dire che l'unica cosa che ruggisce davvero è un Drago che produce molto pil e poca libertà.

Che si aspetta chiusi in casa guardando serie tv (anche belle) non si sa esattamente cosa.

Speriamo che i nostri anni Venti non brucino le tappe andando diretti verso il proibizionismo e le guerre mondiali. Sarebbe quasi meglio pensarli noiosi e basta.

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