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Tomba: "I reality mi vogliono, ​ma io sono all'antica"

Il campione bolognese di sci ha appena compiuto 50 anni: "Mi cercano di continuo per i reality. Ma io sono all'antica: niente social e amici di un tempo"

Tomba: "I reality mi vogliono, ​ma io sono all'antica"

«Abbiamo parlato per 1 ora, 1 minuto e 34 secondi». Tira il fiato e ferma il cronometro Alberto Tomba: i numeri gli sono sempre piaciuti. I suoi erano più bassi degli altri, quando si trattava di tempo di manche, e più alti quando si parla di palmarès. AT, la Bomba dello sci mondiale che sulle piste faceva numeri da concerto rock, poche settimane fa ha centrato lui, classe 1966 - un'altra cifra tonda e importante con l'anagrafe.

Era il 23 dicembre 1984 quando si accesero le sue luci a San Siro, sulla montagnetta, dove - ancora da ragazzo della squadra B - beffò tutti con quel cognome da non mettere nei titoli, fino alla gara d'addio a Crans Montana il 15 marzo 1998. Era il Tomba di Calgary, delle medaglie di Albertville, delle gare vinte di superiorità o con recuperi impossibili e di tutte le filastrocche. Ma erano anche gli anni della vita patinata e paparazzata, in pieno stile Anni Ottanta Novanta. A cui è sopravvissuto. Con un trucco alla Sorrentino: sparire il più possibile, come uno «young pope» degli sci. Alla scoperta di una vita, finalmente la sua, da vivere in tutte le manche che si possono costruire e vincere, anche senza riflettori. Un libro, anche un film, famiglia no, figli no, fidanzate? Fatti suoi. Imitato in tv, inimitabile sugli sci. Molti epigoni, nessun erede. Inutile chiedergli quale sia la gara più importante o la vittoria più sofferta. Lui se le ricorda tutte: dal numero di pettorale su in partenza al distacco giù all'arrivo, inflitto agli avversari.

A 18 anni dal ritiro e per un compleanno importante si è regalato una caviglia gonfia così... Ci cade un mito!

«Gli sciatori hanno sempre la caviglia debole: mi è già andata bene finire ai box a 50 anni, ma in due settimane tutto risolto. Ho anche sciato ad inizio gennaio a Zagabria con altri ex per la festa alla coppa del Mondo festeggiando la vittoria azzurra di Manfred Moelgg: meglio di così!».

Già, diamo altri numeri: 50 edizioni di Coppa, 50 anni lei, 50 (o 51) vittorie. Quale traguardo festeggiare?

«Gli anni li ho già festeggiati! L'anniversario giusto è l'anno prossimo: 51 anni di Coppa e 51 vittorie. Così facciamo la filastrocca sulla carica dei 102: ho un anno per pensarci!».

Ora comincia la seconda manche della vita: a 50 anni si diventa grandi o si ritorna giovani?

«Si torna giovani; vedo mio padre: ha 78 anni e una grandissima forza per continuare a fare le cose che ama. E anche alle signore l'età fa bene».

Lo prendo come un complimento?

«Le quarantenni di oggi sono le trentenni di ieri per obiettivi, interessi, passioni, possibilità».

Che effetto fa essere una delle scoperte del Novecento, come la penicillina, internet o la canzone del secolo?

«Bella scoperta! Non vorrei finire sull'enciclopedia, ma restare nel cuore della gente».

Che cosa rimane di quel campione nell'uomo di oggi?

«Rimane che sono l'Alberto di sempre, quello che sta bene con il suo storico fan Club, affetti ed amici più stretti. Sono un campione? Sì, ma resto una persona alla buona che è diventata un po' leggenda. E pure senza i social!».

C'è qualcosa che il mondo non ha mai capito di lei come sportivo?

«Che io ho fatto quello che sapevo fare e basta. Per questo non mi piacciono i reality».

Ah già, ogni anno la invitano

«Da 16 stagioni, anche se rifiuto subito, il mio nome circola per tutti i cast con cachet più o meno stellari».

E allora diciamolo: parteciperà a tutti i reality!

«Eh no, ho la caviglia slogata Se sei famoso è perché hai fatto qualcosa. Non amo questa tv dove tutti si mettono in mostra e si cimentano in campi che non sono i loro. Sarebbe bello se facessero un reality interamente dedicato allo sport, con atleti che competono».

Marc Girardelli, Pirmin Zurbriggen, Thomas Sykora, Pauli Accola, Thomas Stangassinger, Michael Von Gruenigen: chi le metteva più pressione?

«Quello era un reality! Direi che ne mettevo io a loro: ero diverso. Non venivo dai monti, il mio modo di fare giocoso un po' destabilizzava».

E pensare che da ragazzino sulle Alpi le prendeva dai suoi coetanei!

«Certo, arrivavo in pista dopo ore in auto con mio padre. Ma con dentro la grinta di uno che dagli Appennini ha scalato la cima».

Le dicevano «ritardatario», perché faceva per ultimo l'ispezione pre gara. Poi Hermann Maier, Bode Miller fecero lo stesso. Tomba ha fatto scuola?

«Non ho mai capito che senso avesse fare ispezione in mezzo a tutti gli altri in una selva di porte. Scendevo per ultimo, a pista libera, memorizzavo meglio le traiettorie. Se poi dormivo un po' di più e vincevo, chi ha avuto ragione?».

Lei era un idolo, ha reso lo sci uno sport noto a tutti al prezzo di critiche che l'hanno segnata

«Per la stampa che io vincessi ormai non era più una notizia. Dovevo sempre aver fatto o combinato qualcosa d'altro. Questo sì, non è stato facile sopportarlo. Perché io ero e resto una persona sensibile».

Fra i primi ad usare il casco, oggi si corre con l'air bag per la sicurezza che cosa si potrebbe ancora migliorare?

«Bisognerebbe mettersi dalla parte degli atleti e ascoltarli davvero, come avviene in Formula 1. Poi eviterei di far disputare gare al limite con il meteo e con scarsa visibilità. Mi piacciono molto le competizioni in città e forse si potrebbe pensare almeno per lo slalom a qualche prova indoor in giro per il mondo. Attirerebbe un pubblico più vario».

Il mondo si è sempre chiesto come «Tomba l'emiliano» e «Thoeni l'altoatesino», campione e poi suo allenatore, andassero d'accordo e soprattutto che cosa si dicessero

«Quando Gustavo ti accorda confidenza, si scioglie: è una persona speciale. Ci siamo capiti, entrambi abbiamo vinto la timidezzaperché, ebbene si, Tomba da giovane era timido!».

Come Nico Rosberg, Flavia Pennetta e Tania Cagnotto lei si ritirò al top.

«Oggi dico che avrei potuto prendere un anno di riposo e poi tornare ancora competitivo fino almeno al 2001. Non lo feci. All'epoca, come Deborah Compagnoni, ero sfinito soprattutto dalla pressione intorno a me».

Però lo sci, poco dopo il suo ritiro, cambiò moltissimo. Tomba sarebbe stato ancora Tomba?

«Sono calcoli che non hanno molto senso, ma forse per un po' avrei potuto dire la mia. Io correvo con sci da 2.10 metri in gigante e 2.05 in slalom. Oggi sono più corti di 30 cm e i tracciati sono molto angolati. Ai miei tempi il gigante era filante come un SuperG: lo facevano anche per ostacolarmi, dicendo che non amavo la velocità, che avevo promesso a nonna e mamma di non fare le gare veloci. Però in allenamento con Thoeni ci buttavamo giù anche a 140 km all'ora».

Sogna mai le sue gare?

«Per anni sì: c'è stato il momento della nausea e poi della nostalgia. Oggi sogno di svegliarmi alle 7 per una gara: mi sveglio, faccio colazione e, se posso, invece che al cancelletto, torno a letto ancora un po'».

Confessi: meglio slalom o gigante?

«Ho vinto più in slalom, ma in Coppa c'erano meno giganti. Li ho amati entrambi».

Molti sciatori di oggi dicono che è «colpa» sua se hanno deciso di sciare: che effetto fa essere «papà» di tante carriere?

«Ho risposto loro che è colpa loro se ho smesso, così possono vincere! Sono fiero che mi guardino come esempio».

Lei segue iniziative legate ai giovani: con quale obiettivo?

«Lo sport è una scuola di vita: fa crescere. Tutti devono poterlo praticare per un futuro di conquista e non di difesa. Con altri big dello sport ho fondato la Laureus Academy & sport for good Foundation per aiutare i giovani a fare sport anche in contesti difficili. A metà febbraio consegniamo gli Sport Awards e proporrò un progetto per portare lo sci in paesi di montagna, ma meno ricchi, come Marocco, Libano e Argentina».

Tutti le chiedono perché non ha messo su famiglia, ma se oggi avesse un figlio adolescente, quale sarebbe la sua preoccupazione?

«Ahia! I figli, oggi! Bisogna essere super presenti, all'antica. Guai lasciarli allo sbaraglio, fra social e Pc. Hai tempo libero? Fuori, a correre! Gli amici? Se li vuoi vedere li frequenti di persona. Ragazze comprese. Vivere e non condividere!».

Mai avuto un piano B? A costo di essere solo Alberto e non Tomba?

«Avrei comunque fatto sport: da ragazzo calcetto dai salesiani, poi motocross ed ero bravissimo nei tuffi. Da atleta ero, come molti sciatori, patito di golf. Ero bravo: il golf è l'opposto dello sci, ma allena ugualmente tensione e concentrazione. Strano: ora potrei dedicarmici e, invece, non mi prende più. Oggi preferisco correre, infattimi spacco. Eh, l'età!».

Emiliano anche nei gusti: oggi i campioni sono tutti a stecchetto. Lei che cosa mangia?

«Penso che se ti serve benzina alla pasta non devi rinunciare. Unita a frutta e verdura. Negli anni anche io ho ridotto un po' la carne rossa, ma non il gelato. La cosa difficile? Nello sci non è vincere ma rivincere, nella dieta il contrario: è mangiare e non ri-mangiare. Stare controllati».

Lei è anche sommelier per passione

«Si, mi sono fatto una cultura viaggiando: l'abbinamento cibo vino mi è sempre interessato. Così ho creato una mia piccola cantina. Una passione che condivido anche con un altro olimpionico dello sci, Giuliano Razzoli, che da buon emiliano si dedica pure all'Aceto balsamico Tradizionale. Siamo figli della nostra terra, inutile prescindere: gliel'ho detto, fai questi Mondiali, poi pensa all'aceto!».

Già, come vede l'oltre Tomba degli azzurri, fra poche settimane ai Mondiali?

«Siamo esplosi: un'altra bomba collettiva, una bella valanga: a podio quasi tutti, vecchi e giovani. Sono in contatto via messaggini: provo a motivarli. Le opportunità ci sono!».

Lava ancora le auto, come faceva con i compagni di squadra?

«No, agli amici no, ma ho una passione per gli autolavaggi, col gettone. Vado di notte quando non c'è fila!».

Fra neve e mare perché ora vince il mare?

«Scio poco, mi piace ancora, ma mi riconoscono e fra una foto ed un autografo, gli impianti chiudono! Il mare, invece, alla mia età fa bene. Il Mediterraneo in cima».

All'estero, sui monti, dalla Bulgaria alla Georgia le fanno ponti d'oro, le intitolano piste da sci... Qui no

«Vero: ho molti legami con località sciistiche estere, anche in Austria, Francia oltre all'est Europa. No problem, per la pista, però. Non ho la sindrome da profeta in patria. Dalle mie parti, poi, c'è già via Tomba. Anche se non sono io, è un toponimo locale, va bene così».

Mai pensato di trasferirsi all'estero?

«No, mai. Le radici sono qui, in Emilia. Viaggio, ma poi torno sempre».

Ha girato il mondo per sciare: che effetto fanno le vicende dei migranti e di un'Europa così disunita?

«Siamo tutti cittadini dello stesso pianeta. Servono chiarezza e rispetto delle regole, in Europa come nel mondo. Ma gli sportivi in politica non li vedo bene, quindi non dico oltre».

Se arriva un marziano sulla terra e non conosce Tomba, come gli racconta chi è?

«Prima lo porto in cantina per un bicchierino, poi a sciare e vediamo se curva bene».

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