Nessuna pressione del premier. Il giudice fece rilasciare Ruby

Il sostituto di turno il 27 maggio al tribunale dei minori: "Seguita la procedura standard. Non ho deciso in base a telefonate". Maroni conferma: "Tutto regolare"

Nessuna pressione del premier. Il giudice fece rilasciare Ruby

Milano - Via Leopardi, a due pas­si dalla stazione delle Ferrovie Nord, un palazzo d’epoca, ri­strutturato a stucchi e bugnati. È qui, al tribunale dei minori di Milano, che bisogna venire se si vuole capire davvero cosa accadde la notte del 27 maggio scorso, nelle ore in cui «Ruby» - la 17enne marocchina finita al centro della nuova inchiesta che lambisce Silvio Berlusco­ni - si trovava in questura, fer­mata per un'accusa di furto. È in quelle ore che sarebbe arri­vata in questura la telefonata che - più dei contatti più o me­no ravvicinati con la ragazzina - viene ora contestata al pre­mier dai giornali e dall’opposi­zione: la telefonata da Palazzo Chigi in cui - secondo la rico­struzione di Repubblica - si or­dinava di lasciare andare im­mediatamente la minorenne.

L’altro ieri la questura aveva dato la sua versione: «In man­canza di posto in comunità di accoglienza, d’accordo col tri­bunale dei minori, venne affi­data ad una persona che si era occupata di prendersene cu­ra ». Il Cavaliere, nelle sue ester­nazioni di ieri, spiega di avere «mandato alla questura una persona per dare aiuto a una persona che poteva essere con­segnata alle comunità o alle carceri» e che si trovava in un «quadro di vita tragico». Ver­sioni che sembrano coincide­re, anche se in nessuna delle due si fa cenno alla telefonata. Ma una cosa è sicura: a pren­dere la decisione non fu da so­la la giovane e inesperta funzio­naria di questura capitata di turno, ma anche un magistra­to. Non il tribunale dei minori, come afferma il questore, ma più precisamente la Procura dei minori. E, ancora più preci­samente, il sostituto procura­tore che era di turno quella not­te e che venne contattato dalla polizia.

E che ha poi riferito, carte alla mano, al suo capo: il procuratore Monica Frediani. Una bella e gentile signora che spiega: «Questo caso è stato a lungo per noi un caso come un altro. Ecco, solo parecchio tempo dopo il fermo abbiamo intuito che c’era qualcosa di particolare intorno, perché ci siamo imbattuti in un nome da rotocalco». (Si riferisce, pro­babilmente, alla richiesta di af­fido temporaneo di Ruby avan­zata dalla figlia di Lele Mora). Intende dire che quella sera la questura non vi parlò di una te­lefonata dal governo? «Assolu­tamente no». E allora perché deste il via libera al suo rila­scio? «Rispondo in linea gene­rale: nel caso di minorenni sen­za famiglia, la prassi è l’invio in comunità. Ma se si tratta di mi­norenni di diciassette anni e mezzo, che magari dalle comu­ni­tà si sono allontanati più vol­te, e se aggiungiamo che può accadere che lì per lì non si tro­vi un posto libero, allora se c’è una persona adulta, già in rap­porti non occasionali con il mi­nore, che si offre di prenderse­ne cura, allora accade con una certa frequenza che si scelga questa strada».

Insomma, il rilascio di Ruby non costituirebbe di per sé un fatto anomalo né illecito, tan­to è vero che il ministro dell’In­terno Roberto Maroni - dopo aver letto la relazione - ha con­fermato il «comportamento re­golare » della questura. Ma cer­tamente inconsueto è che una soluzione di questo tipo venga perorata direttamente dal ca­po del governo. Ed è per que­sto che la Procura milanese in­tende scavare in profondità questo passaggio, interrogan­do sia l’ex questore Indolfi che i suoi sottoposti, e acquisendo i tabulati telefonici del centrali­no della questura milanese in quella notte di mezza primave­ra.

L’accertamento è conside­rato necessario non tanto per­ché la telefonata possa costitui­re un reato (a meno che non si voglia ipotizzare un’accusa di favoreggiamento, cui però gli stessi magistrati credono po­co) quanto perché potrebbe aiutare a ricostruire la realtà dei rapporti tra la giovane ma­rocchina, il capo del governo e gli altri personaggi di questa vi­cenda. La ricostruzione di questi rapporti è resa difficile anche da una vistosa incostanza nel­le dichiarazioni rese dalla gio­vane marocchina. «Ruby» ha offerto, nel corso dei suoi nu­merosi interrogatori, versioni spesso difformi una dall’altra. E radicalmente diverse dagli interrogatori sono le dichiara­zioni che ora la ragazza sta of­frendo ai media che la assedia­no.

Cambia di volta in volta il numero degli incontri (tre, due, uno), cresce a dismisura l’entità dei regali ricevuti (cin­quemila, trentamila, centocin­quantamila). Fa irruzione sui giornali anche la clamorosa notizia che a «Ruby» sarebbe stata regalata dal capo del go­verno un’automobile, di cui vengono precisati anche mar­ca e modello, e le compagne di comunità confermano il rega­lo. Con buona pace del fatto che a un minorenne non si pos­sa intestare un’automobile: e infatti, ad una verifica presso fonte attendibile, si scopre che ai magistrati la giovane ha rac­contato semplicemente che Silvio Berlusconi le avrebbe detto un giorno, indicandole una vettura di grossa cilindra­ta, «se fai la brava quando di­venti maggiorenne ti regalo una macchina così».

Insomma, grande caos. Tan­to che prende sempre più pie­de l’idea di sottoporre «Ruby» a un incidente probatorio, un interrogatorio alla presenza anche degli indagati, per stabi­lire una volta per tutte la sua verità.

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