New York si diverte solo con Armstrong

Baldini sesto e deluso: «Mi è mancato il cambio di ritmo». Lo statunitense impiega meno di 3 ore: «La corsa più difficile della mia vita»

Riccardo Signori

Ha vinto il cenerentolo, un brasiliano pescato dalla marea nera dei corridori delle lunghe distanze. Si chiama Marilson Gomes dos Santos ed è sbucato con la sua maglietta giallo accecante e il nome Gomes scritto a caratteri di scatola per essere ben riconosciuto. È partito dove Stefano Baldini aveva detto che si sarebbe decisa la gara: dalla First Avenue in poi. Peccato che il nostro campione olimpico in quel momento fosse già in retrovia. New York ha conosciuto il vincitore che non si aspettava e forse non voleva. E alla fine si è divertita soltanto seguendo la corsa di Lance Armstrong. D’accordo per il primo brasiliano che conquista la sua maratona, ma il fascino del bianco è un’altra cosa. Gomes si è sfilato di dosso il solito nugolo di keniani, ed ha fatto corsa solitaria e di testa tenedosi dietro gli inseguitori di quel tanto che ha creato sicurezza e convinzione del successo. Nel suo passato c’erano un sesto posto alla maratona di Chicago nel 2004, un decimo posto ai mondiali del 2005. «Questa maratona è il meglio del meglio. Si avvera il mio sogno», ha raccontato Gomes che ha 29 anni, per due volte ha vinto la maratona di San Silvestro e stavolta ha chiuso in 2 ore 9 minuti e 58 secondi, tempo di tutto rispetto.
Dietro si sono accodati quattro keniani: Kiogora, l’inaffondabile Tergat, Yego e Rop. Poi Baldini che, con cuore da campione e tempra da combattente, ha cominciato l’ultima rimonta quando ormai la gara era perduta. Il saliscendi di New York lo ha tradito, strano per uno come lui che in questo tipo di percorsi dovrebbe ritrovare l’asfalto ideale. Ma gli imprevisti capitano sempre. Lo dice il suo racconto: «Mi è mancato il cambio di ritmo, ho corso in modo uniforme. Quando c’è stato lo strappo, è stato difficile recuperare». Questa era la sua ultima maratona per le strade di New York, sperava in qualcosa di meglio di quel sesto posto (2 ore 11 minuti 33 secondi) che poi è il peggior piazzamento (a parte il ritiro del 1996) della sua storia americana. Baldini resta sempre il primo dei bianchi (Gomes è caffelatte) e degli extra africani: l’americano Gilmore è decimo.
Fine della storia di una maratona che ha trovato altri tipi di interesse: la vittoria di Jelena Prokopcuka, prima donna a vincere due edizioni consecutive nell’ultimo decennio (nel ’94-’95 vinse la kenyana Loroupe), brava nel mandare in frantumi il grande sogno americano che sperava di vedere Deena Kastor riportare una donna Usa sul podio dopo 29 anni.
Alla fine dei conti, l’unica vera soddisfazione stelle e strisce è venuta da Lance Armstrong, curiosità in mondovisione, seguito in esclusiva da un sito internet che non si è interessato altro che della sua corsa. Il campione sette volte vincitore del Tour ha corso avendo come scorte Alberto Salazar e Joan Benoit Samuelson, che gli hanno scandito il passo portandolo al traguardo e ad un risultato di prestigio: 42 chilometri e 195 metri chiusi in 2 ore 59’ 37, appena peggio del francese Jalabert che, in bicicletta, vedeva Armstrong sempre di spalle. Faticaccia ben ripagata da un tempo di grande valore. «Senza i miei due angeli custodi avrei chiuso in tre ore e mezza, ma di certo è stata la corsa più difficile della mia vita. Nessuna gara mi aveva fatto sentire così alla fine». Armstrong ha chiuso all’869° posto (842° fra gli uomini).

Saranno sette le sue maratone? Dalle prime risposte, sarà già tanto se ne proverà un’altra. «Anzi, se dovessi rispondere d’acchito, direi: questa è la prima e ultima. Lasciatemi il tempo di riprendermi, poi si vedrà». Ma forse basterà un danaroso sponsor per convincerlo.

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