«Niente più limbo per i bambini morti senza battesimo»

Un documento della commissione teologica del Vaticano dirimerà la questione aperta da Wojtyla: «Anche per loro una speranza di salvezza»

Andrea Tornielli

da Roma

I teologi del Vaticano si chiedono dove vadano a finire le anime dei bambini morti senza battesimo e si preparano a pubblicare un documento sul «limbo». Una questione che Giovanni Paolo II aveva definito «del massimo interesse» e che è stata studiata proprio su suo suggerimento. Va precisato che la Commissione teologica internazionale non è un organismo della Santa Sede e i pareri che esprime sono contributi al dibattito, non atti del magistero. Il problema comunque esiste ed è dibattuto.
Il limbo (dal latino «limbus», lembo, orlo) era considerato un luogo ai margini del paradiso dove finivano i bambini morti senza battesimo. A questi ultimi, infatti, non possono essere imputate colpe, ma non essendo rinati «nell’acqua e nello Spirito Santo» hanno mantenuto il peccato originale, la colpa di Adamo con la quale ogni uomo nasce secondo la dottrina cattolica e pertanto sarebbe loro precluso l’ingresso nel regno di Dio. Per loro, secondo la teologia tradizionale, non c’è nessun castigo, ma anzi il godimento di «una certa beatitudine naturale». «Saranno felici di partecipare largamente della bontà divina nelle perfezioni naturali» scriveva in proposito San Tommaso d’Aquino.
La definizione del limbo prende corpo nel XIII secolo pur senza diventare mai una dottrina vincolante della Chiesa. Nel Catechismo di San Pio X, pubblicato cento anni fa, si poteva leggere: «I bambini morti senza battesimo vanno al limbo, dove non godono Dio, ma nemmeno soffrono; perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il paradiso, ma neppure l’inferno e il purgatorio». Ben diverso è l’approccio espresso dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, che al numero 1261 recita: «Quanto ai bambini morti senza battesimo la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro. Infatti, la grande misericordia di Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvati, e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire: “Lasciate che i bambini vengano a me”, ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza battesimo». Nessun accenno al limbo, come si vede, ma la speranza di una via di salvezza. È evidente dunque che c’è stata un’evoluzione da una concezione più rigorista (niente battesimo, niente paradiso) a una più possibilista: li affidiamo alla misericordia di Dio.
Oggi poi è invalsa la pratica di spostare dopo qualche mese dalla nascita l’amministrazione del sacramento del battesimo, che un tempo era invece celebrata nei giorni immediatamente successivi alla nascita. Il motivo è quello di consentire un’adeguata preparazione dei genitori e magari di riavvicinarli alla fede. Si è però andata un po’ perdendo, nella concezione comune, la percezione del battesimo come di dono da amministrare quanto prima, in quanto necessario per togliere la macchia del peccato originale. Quando Papa Wojtyla, nell’ottobre 2004, chiese alla Commissione teologica internazionale di studiare la questione, spiegò che «non si tratta di un problema teologico isolato», perché «tanti altri temi fondamentali si intrecciano intimamente con questo: la volontà salvifica universale di Dio, la mediazione unica e universale di Gesù Cristo, il ruolo della Chiesa sacramento universale di salvezza, la teologia dei sacramenti, il senso della dottrina del peccato originale».
La Commissione teologica, un anno fa, era presieduta dall’allora cardinale Joseph Ratzinger.

Che cosa ne pensava del limbo? Nel libro «Rapporto sulla fede» (1984) si legge: «Il limbo non è mai stata una verità definita di fede. Personalmente - parlando più che mai come teologo e non come Prefetto della Congregazione - lascerei cadere questa che è sempre stata soltanto un’ipotesi teologica».

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