Francesco Gambaro
«Vede, il problema non è tanto il sussidio prima promesso e poi negato a mio figlio, quanto la mancanza di informazioni e trasparenza da parte degli addetti dell'Inps. E chissà quanti altri cittadini si trovano nelle nostre condizioni, senza saperlo». C'è più amarezza che rabbia nelle parole di S.R., papà di Andrea, ricoverato all'inizio dell'anno all'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena, dove gli è stata diagnosticata la Tbc. Il 31 agosto scorso il ragazzo fortunatamente è stato giudicato guarito dalla tubercolosi e ha scoperto di aver diritto a un'indennità in base alla legge 6/8/1975, per chi ha fruito di assistenza antitubercolare mediante cura ambulatoriale. L'importo è fissato dalla legge 1088 del 1970: 2.000 lire al giorno per 24 mesi, che corrispondono a 754 euro in due anni, «a partire dal giorno successivo a quello in cui si è conclusa la cura per stabilizzazione o guarigione». Tutto bene, quindi? Niente affatto. Perché nessuno all'Inps si è premurato di ricordare al ragazzo che il sussidio viene erogato a condizione che «durante l'assistenza sanitaria non si sia svolta attività lavorativa per un periodo complessivo non inferiore a 60 giorni». Vale a dire: se Andrea, durante la cura, si è astenuto dal lavoro ed è rimasto a casa per meno di due mesi, l'assegno non gli spetta. Nonostante il ragazzo abbia compilato tutti i moduli, e lo stesso ospedale ogni mese abbia trasmesso all'Inps il foglio che certificava le cure antitubercolari seguite da Andrea.
Ma il punto è un altro, lascia intendere il padre.
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