Niente vendette Al Sistani invita alla moderazione

Andrea Nativi

Mentre si piangono i morti e si cerca di capire quali errori nel sistema di controllo e sicurezza abbia trasformato un’ondata di panico in una tragedia, la vera questione sul tappeto riguarda la capacità delle autorità religiose sciite di tenere a freno le proprie milizie, pronte a cercare una immediata vendetta, con il rischio di scatenare un conflitto etnico. Ed è stato quindi con sollievo che si è registrato l'appello lanciato dalla massima figura religiosa, il grande ayatollah Al Sistani, che dai suoi uffici di Najaf ha invitato gli iracheni all'unità e di non rispondere alle provocazioni di chi cerca di seminare odio. Un segnale moderato è arrivato anche dal più estremista Moqtada al Sadr.
Le formazioni armate sciite per ora hanno mostrato una notevole disciplina e i vari comandanti hanno obbedito agli ordini. Si tratta di gruppi armati, più o meno organizzati ed inquadrati, che contano migliaia e migliaia di elementi. In particolare spiccano le brigate Badr, che rappresentano il braccio militare del partito Sciri, e l'Esercito Madhi che fa capo a Moqtada Sadr. L'Esercito Mahdi ha ormai ripreso forza e consistenza dopo le batoste subite con le forze statunitensi ed alleate. Anche altri partiti-gruppi sciiti, come il Dawa, hanno proprie forze di sicurezza. E nessuno si sogna di tentare di disarmarle, anzi in passato questi gruppi hanno operato sul campo contro la guerriglia a fianco delle formazioni «ufficiali».
I rapporti tra i diversi gruppi armati sciiti sono peraltro tutt'altro che pacifici: basta pensare agli scontri sanguinosi, costati oltre 100 caduti, che hanno contrapposto Mahdisti e Brigate Badr, spalleggiate da unità del ministero degli Interni, una settimana fa.
Ma, a dispetto delle rivalità, le formazioni armate sciite sempre più spesso agiscono per la difesa dei propri correligionari e per contrastare i gruppi sunniti. Se dagli episodi locali, tutto sommato limitati, il confronto si estendesse la prospettiva di una guerra civile a matrice religiosa diventerebbe concreta.
Per fortuna tutti i protagonisti della scena irachena sono consapevoli del pericolo e adottano un atteggiamento molto prudente. Quanto alle rivendicazioni degli attacchi effettuati con pochi colpi di mortaio contro i pellegrini sciiti (e si dubita che fossero davvero rivolti a provocare una strage puntando sul panico) da parte di gruppi vicini ad Al Zarqawi, gli analisti ritengono che siano controproducenti per il movimento terroristico, che infatti, oltre a rappresentare meno del 10% delle forze della guerriglia, rischia di appiattirsi sulle posizioni dei meglio organizzati e più forti gruppi sunniti. In conseguenza Zarqawi e i suoi hanno meno libertà di movimento, meno appoggi e devono guardarsi da avversari e delatori forse ancora più pericolosi rispetto ai soldati statunitensi.


Del resto le statistiche confermano che se la violenza in Irak sta crescendo con l'approssimarsi della scadenza elettorale, gli attacchi, circa 70 al giorno, sono ormai concentrati solo in 4 delle 18 province irachene. Nelle altre 14 la situazione della sicurezza continua a migliorare, con una media di un attacco al giorno o anche nessun episodio da registrare. Per l'Irak questo è un risultato straordinario.

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