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No ai gufi Italia, è il giorno dell’orgoglio

Oggi tifano pure i gufi. Italia-Slovacchia sembra Italia-Brasile. Non conta l’avversario, contiamo noi. Non c’è neanche tempo di tifare contro. Oggi è Italia. Noi contro loro, noi contro noi stessi. Chi vince? Ci manca tutto: il talento, la classe, l’organizzazione, i cambi. Ci resta l’orgoglio. Che cos’è? L’abbiamo citato così tante volte che ci siamo persi. È l’ultima risorsa, la riserva di benzina che a un certo punto ti fa correre anche quando non ne hai più. Siamo l’Italia, noi.
Oggi non interessano formazione, scelte, sostituzioni: non serve la tattica per battere la Slovacchia. Non serviva neanche con la Nuova Zelanda, forse neanche con il Paraguay. Adesso comunque è secondaria: si vince per voglia, non per bellezza. Guarda l’Inghilterra: anche ieri ha rischiato, ha giocato male, ha sbagliato. Però ha vinto. Guarda gli Stati Uniti: erano fuori al minuto 91, hanno sbagliato l’impossibile, poi la magia. Perché quando serve solo vincere un modo si trova: è la differenza tra una squadra mediocre ma orgogliosa e una mediocre e basta. È la differenza tra un popolo che deluso ma fiero di se stesso e uno deluso e basta. La delusione è sui nostri comodini: non la dimentichiamo, la teniamo solo da parte. Domani, però. Perché oggi c’è una squadra e c’è un Paese che si gioca la credibilità: siamo i Campioni del mondo, abbiamo la notte di Berlino ancora negli occhi e il Circo Massimo ancora nelle macchine fotografiche e nelle videocamere. Siamo ancora lì, come se fosse il 10 luglio 2006. Come se si ricominciasse, dimenticando le partite e le delusioni dell’ultimo periodo.
È cambiata la squadra, ci illudiamo. Siamo più scarsi, più bolliti, più ingenui. Siamo in difficoltà, arranchiamo a caccia di noi stessi, come altre nazionali che ci accompagnano in questo cammino faticoso verso gli ottavi di finale. Però siamo l’Italia. E l’Italia con la Slovacchia vince. Punto. Non c’è alternativa, non c’è altra possibilità. Siamo capaci di farlo perché è già successo: ricordate l’Europeo 2008? Sconfitti e umiliati dall’Olanda, poi pareggio con la Romania e partita decisiva contro la Francia. Non era quella di oggi, era quella che avevamo battuto ai rigori due anni prima a Berlino. Potevamo soltanto vincere. Vincemmo.
Non c’è una spiegazione e forse neanche serve. A chi interessa come e perché oggi l’Italia debba vincere? Anche questo è orgoglio: finirla con la puzza sotto al naso e soffrire solo per il risultato. È il giorno del pentimento temporaneo dei catastrofisti: non ci piacciono le scelte di Lippi? Oggi zitti per soffrire. Oggi zitti per tifare. Non è la partita del commissario tecnico o quella di Cannavaro o quella di Pazzini: è la nostra. Dentro o fuori è un problema più di chi oggi pomeriggio starà davanti alla tv. Uscire è una disfatta della squadra, ma inevitabilmente anche nostra. Abbiamo visto la Francia: vogliamo fare la stessa fine? Non ci vuole molto: è un’ora e tre quarti, più recupero, di orgoglio. Ce l’abbiamo: ne parliamo troppo, lo citiamo anche con il fruttivendolo, lo tiriamo fuori alla recita scolastica dei nostri figli o fratelli. Oggi è il giorno, a Johannesburg e qui: Roma, Milano, Torino, Napoli. Ci saranno maxischermi e finte malattie. Non si lavora, come se fosse festa Nazionale. Si ferma il Paese per Italia-Slovacchia: i campioni del mondo contro l’unica squadra che non ha mai giocato un Mondiale prima d’ora. Può essere? Un gol, ne basta uno. E se non siamo capaci, speriamo negli altri.

Passare il turno vale più della vergogna di farlo perché ce lo regala il Paraguay.

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