Gian Micalessin
da Teheran
La casa è vasta, spaziosa, di uneleganza un po retrò un po spartana. Arash ti accoglie con sorrisi attenti e scrupolosi. Sua sorella Elham è già alla porta, savvolge la chioma bionda nel foulard multicolore, allunga la mano, scappa via. La madre ti studia un attimo, porge il palmo, riaffonda nel divano. Gli chiedi come va e Arash ti risponde «tutto bene» con un sorriso in cui leggi «e che ti posso dire». La prende alla lontana Arash. Incomincia da 2.700 anni fa, dagli antenati arrivati in catene dopo la vittoria di re Nabucodonosor, distruttore del primo tempio di Salomone. Da allora a oggi Arash e gli altri ebrei dIran sono rimasti in 20/25mila. Diecimila a Teheran, il resto sparso tra Isfahan, Shiraz e Kherramshar.
Cinquantamila sono svaniti nellultimo quarto di secolo e per un attimo anche dire dove siano finiti sembra un arcano. Un mistero sospeso nella penombra del salotto, tra lo sbircio della madre e il gracchiare della tv. Poi in un fiato la parola impronunciabile salta fuori, Israele ricomincia a esistere e lingegnere Arash Abaie, lettore della Sinagoga e insegnante di Religione alla Scuole ebraiche di Teheran incomincia a rivivere, a uscire dal bozzo. «Non cè paura, non cè mai stata, ma cè preoccupazione, dopo quel discorso molte certezze sono svanite... per la prima volta da 25 anni anche questa famiglia si chiede se sia ora dandare».
Il discorso, così lo chiama Arash, è la prima esternazione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, quella con cui a ottobre promise di cancellare Israele dalla faccia della Terra e mise in discussione lentità del genocidio. Quel giorno i diecimila sopravvissuti di Teheran e quelli dispersi nel resto del Paese sentirono un brivido freddo risalirgli la schiena. Solo Harush Yashayaei, capo del Consiglio ebraico di Teheran, ha preso carta e penna e ha chiesto spiegazioni. «Caro presidente, la nostra piccola comunità guarda con profondo orrore alla quotidiana negazione dellOlocausto... LOlocausto non è una leggenda, è una vera vergogna che qualcuno si chieda se gli ebrei uccisi furono sei milioni o un milione...».
Horush, abituato a protestare con il ministero della Guidanza islamica e a ricevere risposta per ogni trasmissione tv sulla causa palestinese, quella volta non ebbe soddisfazione. Qualcuno al posto del «caro presidente» gli rifilò quattro righe formali promettendo di esaminare le sue lagnanze. Da allora Arash e i suoi pensano un po di più ai parenti lontani e al modo per raggiungerli. «Alla solitudine siamo abituati, da un decennio qui a Teheran o in Iran non vive più uno solo dei nostri parenti o dei vecchi amici, ma con Ahmadinejad ci sentiamo ancora più soli. Non abbiamo più certezze, non sappiamo cosa aspettarci dal governo. La situazione è ogni giorno meno chiara e il futuro unincognita».
Unangoscia raramente provata prima. «Qui in Iran non ci siamo mai sentiti né perseguitati, né in pericolo. La chiave dorata ce la offrì limam Khomeini quando ricordò a tutti di distinguere tra ebrei e sionisti. Da allora malgrado i bambini crescano imparando a scuola gli slogan contro Israele nessuno ha mai alzato un dito contro di noi». Oltre a riconoscere lesistenza della comunità religiosa, a permetterne il culto e linsegnamento religioso nelle scuole private, la Costituzione iraniana prevede lelezione di almeno un deputato ebreo al Parlamento. Questo non ha impedito lesecuzione di 13 ebrei accusati dattività filo-israeliane tra il 1980 e il 98 e larresto, nel 99, di tredici esponenti della comunità di Isfahan e Shiraz accusati di spionaggio.
Dal 2002 - quando gli ultimi otto dei tredici sospetti tornarono liberi - gli appelli dellallora presidente Khatami al dialogo tra le civiltà sembrarono esorcizzare le antiche paure. «Larrivo di Ahmadinejad è stato un salto nel passato, ascoltandolo molti di noi hanno incominciato veramente a guardare a Israele», racconta un commerciante che scruta il nostro taccuino di appunti e si guarda bene dal dare il nome. «Certo qui a Teheran abbiamo le scuole della Comunità per i nostri figli, venti sinagoghe che si riempiono ogni Shabbat e due ristoranti kosher, ma quanto durerà? E se le cose peggioreranno riusciremo a fuggire?». Andarsene oggi non è troppo difficile. «Gli anni bui - ricorda il mercante - erano quelli della guerra con lIrak, allora per noi ebrei ottenere il passaporto era unimpresa, ma dopo la fine della guerra siamo ridiventati viaggiatori come gli altri. Solo chiedere di andare in Israele resta vietatissimo, ma basta arrivare in Turchia e tutto si risolve. Lambasciata israeliana può farti depositare il passaporto e tu voli a Tel Aviv con un permesso speciale. Qui lo sanno e chiudono un occhio... Neppure le comunicazioni sono più unimpresa.
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