Noi, malati di tumore col bisogno di raccontare

Il giornalista stroncato da un tumore: "È dura, ma parliamone sempre". L'addio al reporter che filmò la sua agonia

Noi, malati di tumore col bisogno di raccontare

È morto, dopo una lunga malat­tia, il giornalista del Tg5 Matteo Mastromauro, 42 anni. Su You Tube aveva raccontato la sua ma­lattia. Una necessità, quella di te­stimoniare che richiede corag­gio, come spiega nel libro auto­biografico Fabio Salvatore, che ha condiviso con Mastromauro il percorso nella malattia.

«Goccia dopo goccia senti il veleno che entra nel tuo corpo e resti esterrefatto, perché sarà proprio quel veleno a decretare il successo o meno dell’intera terapia e quindi la possibilità stessa di sconfiggere il male. Per farla breve, quella oncologica è una partita per la vita, una delle poche partite che non ammette pareggio, o si vince o si perde, in palio la vita». Sono le parole di Matteo Mastromauro, amico di un viaggio, quello della sofferenza e del dolore, che proprio l’11 febbraio, Giornata Mondiale del Malato e della Vergine di Lourdes, gli si sono aperte le porte del cielo. Ne sono convinto, perché la sua appassionata voglia di vivere, lo aveva messo con le spalle al muro ma senza perdere il coraggio di continuare a lottare.
Sì perchè il cancro è una malattia assai strana, entra ed esce dal tuo corpo, donandoti mille speranze, ma allo stesso tempo piega in due il tuo corpo. Un giorno, durante una puntata di Matrix, seduti accanto, abbiamo raccontato le nostre esperienze, con quella semplice voglia di condivisione, senza falsi tabù e omertosi silenzi. A riflettori spenti, abbracciandomi mi ha detto: «Andiamo avanti con forza, è dura, ma parliamone, sempre». Queste parole le custodirò gelosamente, perché sono un tesoro per chi rimane su questa a terra a combattere con trattamenti terapeutici che ogni giorno ti danno l’idea vera della tua precarietà. La testimonianza, insieme al coraggio, sono l'antidoto contro chi, come il cancro, che io ho chiamato Scarafaggio, ti vuole spento, senza forze e chiuso nel tuo silenzio. Oggi non ho voglia di silenzio, non posso e non devo. Oggi più che mai devo avere la forza di testimoniare la mia Resurrezione giornaliera che mi accompagna da 14 anni senza mai abbandonarmi. Il cancro entra ed esce della mia vita come a tanti che incontrano questa malattia, che ancora oggi consideriamo il male oscuro, non curabile e che ci pone in quella posizione di falsa omertà e silenzio che uccide ancor prima di morire qualsiasi uomo segnato dalla Croce della sofferenza. Il finto e tremendo tabù del non parlarne, del non pronunciare quelle sei lettere «cancro», che fanno più paura a chi non l'ha incontrata rispetto a chi ci convive quotidianamente. Non amo i numeri, ma quello che sta accadendo è davvero agghiacciante: dal primo gennaio del 2012 sono morti 11.121 italiani di tumore con una media giornaliera di circa 240 persone. Tutto questo non deve far impietrire i nostri cuori, ma spalancare le porte dell'anima e slegare bende dagli occhi e dalle orecchie e essere accanto a chi soffre. Senza falsità, con amore, senza falso pudore o pietà. Questa è la vita di chi soffre, questa è la vita di chi incontra il cancro. Io l’ho incontrato all’età di 22 anni e da 14 anni, ogni giorno provo a raccontare la mia vita da malato. Anche Matteo l’ha fatto.
Da oggi non ci sarà e come lui, tanti. Ma proprio per tutti quanti loro, dobbiamo impegnarci partendo dalle nostre case ad accogliere e condividere la sofferenza, perché il cancro non è solo di chi lo vive ma anche e soprattutto di chi ci circonda. Il cancro non può annientare il corpo e l’anima. Ci sia concesso di essere liberi di vivere come meglio crediamo e viviamo il dolore. Nessuno può dettare il tempo umano della nostra sofferenza se non la scienza e il nostro coraggio. Testimoniare e raccontare è la terza via della malattia, preceduta, da prevenzione e diagnosi. Non possiamo, nessuno esclusi, rimanere inermi di fronte al cancro. Il cancro uccide e lo fa ancor di più se cerchiamo di essere omertosi. Di cancro si vive, non si muore soltanto e nel nostro paese, il 61% dei malati guarisce completamente da questa malattia, che nessuno ama chiamare per nome. Quante volte mi sono sentito un peso, quante volte mi è stato difficile far comprender l’importanza della parola, della condivisione, di una semplice carezza. Quanto è bello farsi asciugare le proprie lacrime. La solitudine ti mangia in ogni dove e al cancro fisico subentra il cancro dell’anima.

Sono convinto che più forte della morte è l’Amore, che riesce sempre in ogni circostanza, anche la più tremenda a stringere le nostre mani e abbracciare la nostra vita. Io continuerò a testimoniare e ad essere testimone di questa Croce che il Gesù mi ha donato e con amore cercherò di portarla avanti, senza paura, senza timore e con la voglia di vivere la mia sofferenza.

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