Non c’è altra politica estera se non quella del governo

Le parole di Italo Bocchino contro la politica estera attuata dal governo Berlusconi, espresse non per caso ad Annozero, pretendono un serio ragionamento politico. Le esternazioni di Bocchino su di una politica estera italiana «sbilanciata verso Paesi come Libia e Russia» di contro ad un «atlantismo e multilateralismo» saggiamente professati da Gianfranco Fini, imparziale terza carica dello Stato, impongono al Pdl tutto una precisa e netta affermazione della propria identità e progettualità politica anche in questo ambito. Poiché sulla politica estera ogni governo misura il valore della propria indipendenza, capacità decisionale e visione strategica per il Paese, se una fetta importante della maggioranza di governo critica in modo così radicale una linea progettuale sostenuta da anni e vincente sin dai tempi di Pratica di Mare, non possiamo che prendere atto di trovarci di fronte ad una questione di assoluta delicatezza. Non è la prima volta che i finiani puntano il dito contro la presunta «ambigua politica estera di Berlusconi».
Si tratta di critiche ideologiche, sradicate dal contesto multipolare del nuovo scacchiere internazionale sul quale Silvio Berlusconi ha saputo muoversi con grande abilità, ottenendo, negli anni, sicurezza e sviluppo economico per le nostre imprese, efficienza energetica, azzeramento dell’invasione extraeuropea. Farebbe bene, quindi, il presidente del Consiglio a porre un ulteriore punto politico, oltre ai 5 già noti, da sottoporre all’aula il 29 settembre e alla costante verifica di governo: l’unità della maggioranza sugli indirizzi di politica estera. Questa sarebbe una cartina di tornasole per escludere l’eventualità di un voto di fiducia privo di contenuti, quindi di lealtà e sincerità, teso esclusivamente a mantenere in carica un governo dal respiro corto, contestato dall’interno persino su ciò che resta il suo fiore all’occhiello: l’attualità e l’efficacia delle sue relazioni internazionali. Se Gianfranco Fini e Futuro e Libertà per l’Italia intendono portare avanti vecchie forme di appartenenza geopolitica, con l’intento di apparire politicamente corretti e maggiormente affidabili agli occhi di interessi altri, né italiani né europei, liberi di farlo. Ma ciò non può essere fatto sulla pelle della maggioranza politica che dal 2008, vincendo tutte le competizioni elettorali, ha permesso loro di ottenere incarichi governativi fondamentali per la politica estera italiana, quali sono la delega al commercio estero del viceministro Adolfo Urso, e la poltrona ministeriale delle politiche comunitarie su cui siede Andrea Ronchi. Senza contare l’endorsement americano, il battesimo politico negli States, ottenuto dallo stesso Fini in qualità, e solo per quella, di presidente della Camera dalla speaker democratica Nancy Pelosi.

Ecco, data la pesantezza politica della situazione, data la serietà della materia in questione ed i riflessi sullo Stato e sulla vita reale dei cittadini, il Pdl, ma soprattutto Silvio Berlusconi, farebbero bene a porre paletti piuttosto severi, da qui in avanti, anche sulla nostra politica estera. Come si è capito, qualcuno intende vanificare e delegittimare un lavoro di anni.
*Deputato e Presidente
Consulta Esteri del Pdl

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