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Non c’è sicurezza, restiamo a casa

L’ex campione del mondo di ciclismo: «I rischi sono troppi. E il Tibet è la punta dell’iceberg»

Non c’è sicurezza, restiamo a casa

«Da uomo di sport non posso tollerare l'idea di poter dire no a una Olimpiade. Ma da uomo che ama lo sport dico che se non ci sono le condizioni di sicurezza per tutti gli sportivi è meglio restarsene a casa». Francesco Moser, grande campione di ciclismo negli anni Ottanta, un mondiale, un Giro e una moltitudine di altre gare nel proprio palmarés, non nasconde la propria preoccupazione e apre anche a chi pensa di chiudere anzitempo con i Giochi di Pechino. «Io ho partecipato nel '72 alle olimpiadi di Monaco - racconta il trentino -. Ricordo ancora perfettamente quando il commando, composto da otto terroristi palestinesi, scavalcò il muro di cinta dell'Olympisches Dorf, il villaggio olimpico di Monaco, per dirigersi verso l'edificio numero 31 della Connollystrasse, occupato dalla rappresentativa israeliana. Gli otto uomini erano fedayn aderenti a Settembre nero. Noi della nazionale italiana eravamo a pochi metri dal teatro di quell'azione che avrebbe segnato la storia. Noi tutti rischiammo grosso, e in queste ore la mente è tornata a quel 5 settembre. Gli atleti, le nazioni, non possono più rischiare. Non è giusto. Capisco che in questo modo lo sport rischia di perdere, ma non è giusto ingaggiare una sfida impari: gli atleti vanno a mani nude, là sono armati». Quindi è per il boicottaggio: addio Giochi di Pechino?... «Diciamo che io ci penserei. L'ipotesi di un no forte e secco a Pechino deve essere presa. I rischi da correre sarebbero davvero tanti. Quello che sta accadendo in Tibet non può certamente né lasciare indifferenti né tantomeno tranquilli nessuno. Poi mi chiedo: i problemi sono solo in Tibet? La Cina è grande, molto grande, e non sono sicuro che ci venga raccontato proprio tutto. Penso che i Paesi chiamati ad animare la prossima Olimpiade, debbano chiedere e pretendere delle garanzie. Garanzie assolute. Altrimenti, a malincuore, è meglio che ognuno se ne resti a casa propria. Così sarebbe lo sport a perdere? Per vincere bisogna anche saper perdere.

E in questo caso la sconfitta più amara sarebbe per la Cina».

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