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Non chiamatelo canone, è un mostro fiscale fuori dalla Costituzione

La Rai si fa pagare per prestazioni che non dà. E calpesta il principio di capacità contributiva. Come tassa di possesso del televisore aveva senso solo con il monopolio

Non chiamatelo canone, è un mostro fiscale fuori dalla Costituzione

Il cosiddetto canone Rai, nonostante il nome e l’intento originario, non è un canone, cioè un prezzo che si paga per un servizio, ma un vero e proprio tributo, dovuto anche da chi non riceve il servizio. Quindi è un mostro fiscale privo di senso, che fa a pugni con il principio costituzionale di capacità contributiva. E che sta in piedi solo perché la Rai è tradizionalmente molto potente. Infatti essa, grazie al canone che si aggiunge ai proventi della pubblicità, paga laute prebende che le consentono vaste riconoscenze. E naturalmente ha intrecci politici vari, con cui sopravvive a tutti i cambiamenti, con la sua struttura elefantiaca, di ente statale sovvenzionato con una imposta, che dovrebbe essere il prezzo dei suoi servizi ma non lo è. Infatti il tributo è dovuto da chiunque detenga un apparecchio radiotelevisivo atto a funzionare, indipendentemente dal suo utilizzo, nella supposizione che tale uso ci sarà.
Tale ipotesi è logica e legittima, ma non lo è quella ulteriore, che chi usa l’apparecchio voglia usarlo per i servizi della Rai. Di fatto molti lo usano per vedere altre tv, ad esempio Sky, pagando l’apposito canone o le varie tv private, di Mediaset, e altre come La7 e le diverse tv regionali libere. Quando il canone Rai fu istituito, la Rai era monopolio e quindi la presunzione che chi aveva un apparecchio radio-tv lo usasse per vedere e ascoltare i programmi Rai era legittima. Ora non lo è più. Quindi per giustificare questo prelievo come corrispettivo di un servizio, occorrerebbe che fosse ripartito fra le varie compagnie radiotelevisive in proporzione ai loro indici di ascolto o con qualche altro criterio, atto a determinare le diverse utenze. Invece se lo prende per intero la Rai. Ciò implica che la sua natura di corrispettivo non esiste più. Quindi non siamo di fronte a un tributo la cui capacità contributiva si giustifica con lo specifico servizio reso, ma a un tributo, che si basa su indici generali di capacità di pagare del contribuente, in cambio del complesso dei servizi pubblici statali.
A questo punto, ci si deve domandare se un tributo, eguale per tutti, sull’uso degli apparecchi radio-tv di qualsiasi specie e prezzo, possa definirsi come basato su ragionevoli criteri di capacità contributiva e come lo si possa classificare fra le varie categorie di imposte esistenti. Di certo non si può definire questo balzello come una imposta patrimoniale su un cespite indice di ricchezza. Infatti è eguale per tutti gli apparecchi a prescindere dal loro valore, vecchi e nuovi. Possiamo, allora, dire che si tratta di una decente imposta di consumo? Non pare, in quanto il tributo è eguale, indipendentemente dal tipo di consumo. Esso può differire secondo la dimensione degli apparecchi e il tipo di schermo, con cristalli liquidi o no e a seconda della capacità di captare canali, senza antenna parabolica o con tale tipo di antenna. Il paragone con l’imposta sugli auto e motoveicoli mostra chiaramente che una imposta sul consumo, che colpisce non il suo flusso di consumi, ma il mezzo con cui essi sono effettuati, va discriminata secondo la natura del mezzo. Dunque questo balzello non ha né i requisiti di capacità contributiva richiesti per una imposta su cespiti patrimoniali, né quelli richiesti per una imposta di consumo. E poiché non ha neppure i requisiti di capacità contributiva che riguardano le tasse, i canoni e gli altri corrispettivi per specifici servizi come le tasse giudiziarie, quelle scolastiche o i canoni di abbonamento per i servizi di trasporto urbano o per i servizi di una tv a pagamento, se ne desume che esso è un mostro fiscale. Ad accrescere l’assurdità della situazione c’è il fatto che un conduttore tv come Serena Dandini, a quanto sembra, percepisce per un lavoro part time alla Rai 710mila euro annui, cioè una retribuzione superiore a qualsiasi stipendio pubblico e a qualsiasi compenso di collaboratori di giornali. Sarebbe interessante sapere quanto prende Santoro. Ora la Rai è un ente pubblico che riceve l’incasso di questo tributo, per svolgere servizi pubblici. Esiste un limite ai bonus che questo ente elargisce?
L'Italia nel 2009 ha un deficit pubblico del 5,3 per cento del prodotto nazionale. E queste retribuzioni sono intollerabili, sia per il fatto in sé, sia per l’esempio che danno. Ma la sinistra al caviale italiana per insultare Berlusconi è disposta a spendere qualsiasi cifra: per altro, tratta dalle nostre tasche, non dalle loro.

Ed è questo che proprio non va.

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