nostro inviato a Venezia
Si è conclusa con una denuncia di censura lanimata conferenza stampa del cast di Vallanzasca - Gli angeli del male, latteso film di Michele Placido, fuori concorso ieri a Venezia (nelle sale il 17 dicembre). I giornalisti si sono già alzati e, dopo aver strappato un applauso qualunquista dicendo che Vallanzasca «non è il pericolo numero uno di questo Paese con tutto quello che cè in Parlamento», Placido tiene a dire anche che «questo film né la Rai né Medusa hanno voluto farlo. Ci sono voluti gli americani della Fox, perché è un film scomodo». Sapendo dinfilarsi in un ginepraio di polemiche, tuttavia, a produzione ultimata, una mano sulla coscienza Placido se lè messa almeno un paio di volte. Intanto perché qui ha rifiutato il concorso offerto da Muller: «Ve limmaginate che cosa sarebbe successo se Kim Rossi Stuart avesse vinto come miglior attore»? E poi perché si è dichiarato contrario alleventuale passerella al Lido di Renato Vallanzasca.
Però ci sono tanti però. Anzi, ce nè uno gigantesco che aleggia su tutta loperazione. E, vecchia volpe di cinema, Placido lo anticipa attaccando: «Il fatto è che il Vallanzasca vero è ancora più simpatico di come lha reso, benissimo, Kim Rossi Stuart. Se voi lo incontraste, restereste sedotti dalla sua simpatia e dalla sua ironia», garantisce. «Solo che lì sotto cè una mente criminale. Questo è il mistero di Vallanzasca. Ed è anche il nucleo centrale del film. Avrei potuto raccontare un criminale qualsiasi, butterato, sconosciuto, lombrosiano. Ma non minteressava». Però, appunto, in questo nuovo romanzo criminale il romanzo prevale sulla criminalità. Placido: «Lobiezione è giusta. Ma ci sono anche scene in cui si vede la sua crudeltà. E poi sui delitti siamo stati molto ligi, fedeli alla cronaca. Poi il film è fiction». E sarà per questo, oppure perché il personaggio è davvero così - «un mito negli anni 70» - fatto sta che lo spettatore resterà colpito più dalle sue spacconate che dalle sue efferatezze.
Un delinquente sfrontato, provocatore e insolente come una rockstar. Che in prigione riceve valanghe di lettere corredate di foto damore. E che conquista la simpatia dei giornalisti dellepoca. Un vincente quasi convinto di avere una vocazione. «Sono nato per fare il ladro», ripete. E questa consapevolezza si riproduce in una sorta di etica criminale, nel rifiuto di allearsi con la mafia o di spartire le quote delle bische milanesi con Turatello al quale, sottolinea Placido, «risponde: io mi guadagno da vivere onestamente».
Così, mentre le rapine a volto scoperto, le sparatorie con pistole e mitraglietta e le fughe dal carcere sono già note, il segno lo lasciano il matrimonio nel carcere di Roma con Francis Turatello come testimone («una scena da teatro dellassurdo» lo definisce lo stesso Vallanzasca), oppure la presa in giro dei carabinieri ai quali, camuffato ma non troppo, chiede indicazioni per trovare Radio popolare dove concederà la sua intervista da latitante. Del resto allepoca «le forze dellordine erano piuttosto sprovvedute», ammette lex poliziotto Michele Placido. E lo si constata anche in occasione dellultima fuga dalloblò della camera singola di un traghetto dove una scorta alle prime armi gli concede di stare.
Ben girato, con un ottimo cast (Filippo Timi nella parte del fratello tossico, Moritz Bleibtreu compagno della banda, Valeria Solarino, prima partner, Francesco Scianna il boss Turatello e Paz Vega la moglie) e le musiche dei Negramaro, Vallanzasca - Gli angeli del male inciampa in qualche scivolone linguistico quando retrodata allepoca espressioni coniate ben dopo, tipo «tra poco questo posto sarà pieno di gnocca», oppure «ma ti sei bevuto il cervello?».
Ma il grumo irrisolto di questo film è un altro e, quando sulla strada cè una scia di sangue, segnalarlo non è moralismo. «Tanti brigatisti sono liberi, Vallanzasca è ancora in galera», si difende Placido. «Io vorrei vedere un po dello spirito cristiano cui questa società dice di richiamarsi. Non perché Vallanzasca vada perdonato. Tanto meno io ho voluto fare questo film per assolverlo.
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