Un giudice che fa ipnotizzare un teste per estrargli con la tenaglia della scienza ricordi confusi non s’era mai visto. Almeno nelle stanze del Csm. Anche perché è vietato. L’articolo 188 del codice di procedura penale parla chiaro: non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. E questo, naturalmente, per garantire la libertà della persona e la genuinità della prova. Tutte questioni che Paola C., Pm in una città delle Marche, ha pensato bene di superare di slancio. Il caso è difficile, spinoso. C’è un cadavere, quello di Carlo A., e c’è un teste, Mario N., che ha trovato il corpo dell’amico ucciso ed è stato interrogato dal Pm. Il punto è che lo choc è grande, i ricordi un cratere di guerra, le parole balbettii... La memoria, come quella di un computer, dev’essere recuperata per fornire all’investigazione spunti preziosi. Intento nobile, ma di difficile attuazione almeno sul fronte penale. Il Pm invece va dritto per la sua strada e il 22 giugno 2006 dispone una seduta ipnotica cui sottoporre il teste nella speranza di afferrare quel che è stato rimosso. Mario, va detto, è consenziente ma questo per il Csm vale poco o nulla. La capacità di autodeterminazione è comunque pregiudicata, come si legge nei documenti ufficiali. Paola C. si ritrova nei guai. E si difende: la richiesta è arrivata dalla polizia giudiziaria, con l’intento di rimuovere il blocco che come un lucchetto sigillava la memoria. Eccolo, il punto: lei non ha mai ritenuto di poter catturare informazioni utili alle indagini, in un frustrante stato di stallo, con questa tecnica. E infatti di quelle sedute non è mai stato verbalizzato nulla. Semmai pensava di poter eliminare in questo modo lo choc e dunque di poter finalmente interrogare nel modo migliore il teste. Non dimentichiamo infatti che Mario ha fatto scena muta: ripeteva di non poter riferire nulla, ma proprio nulla sulla scena del crimine. Tabula rasa. Insomma, l’ipnosi doveva servire solo per ritrovare quei file perduti. Oltretutto Mario ha mantenuto in quegli incontri la piena capacità di intendere e in ogni caso le sollecitazioni del medico specialista non hanno fatto breccia. I ricordi sono rimasti nascosti da qualche parte e non sono venuti fuori. Tutto vero. Ma per il Csm non si può giocare con la coscienza. Mai. Nemmeno per la migliore delle intenzioni. (...) Con l’ipnosi, il teste o chi per lui diventa uno strumento nelle mani di chi lo utilizza. E questo è proibito nel modo più assoluto. (...) Per la Disciplinare, la violazione del codice c’è tutta.
È stato scavalcato l’articolo 188 del codice che è un muro a salvaguardia di valori importantissimi. E così la punizione, per quanto contenuta, non può non scattare. Il 29 gennaio 2007 Paola C. viene condannata all’ammonimento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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