È tornato il tempo dell’antipolitica. Il clima è saturo, il tenore di vita è in pericolo, la politica inganna e cresce il disgusto della gente. Stiamo tornando al clima che produsse la svolta del ’93 e del ’94 che fu definita - a torto o a ragione - come la fine della prima Repubblica. Bisogna tornare alle origini. Si avverte nell’aria che un ciclo sta finendo, ma è troppo sbrigativo e superficiale pensare che il ciclo riguardi solo Berlusconi. La gente non si fida più del ceto politico, da sinistra a destra, non si aspetta nulla di buono dal parlamento e il voto sulle Province da abolire è stata solo una conferma. Si è riaperto il fossato tra i Palazzi e gli italiani. L’Italia è stanca del teatrino pro e contro Berlusconi, capisce che la realtà non si modifica a colpi di sentenze o di manovre e diffida delle macchine del fango e dell’incenso; così protesta con ogni mezzo, compresi le defezioni e i referendum. E quando vota, il metro di giudizio è inverso rispetto alla politica: vince chi tra i concorrenti appare più lontano dal potere e dalla politica. L’hanno vagamente capito Di Pietro e De Magistris, Vendola, che pure si ciba di pane e politica, Beppe Grillo e i No Tav. L’antipolitica non va però confusa con l’estremismo. Un conto è prospettare rimedi estremi e cure radicali, un altro è usare mezzi estremi e perseguire fini estremi. L’estremismo è velleità di scopi e schiamazzo permanente nei toni. Stile esagitato per fini irraggiungibili. Qui invece occorre una risposta composta, realistica, lucida seppure radicale. È tempo di dissotterrare l’ascia dell’antipolitica. Quando la politica non sa più interpretare il proprio tempo e il proprio popolo, quando balbetta, arranca, sposta le attenzioni su obbiettivi secondari o surrettizi, allora è tempo che si ritorni a estrarre le energie dall’antipolitica. Proteste e raccolte di firme, pressing sulle istituzioni e sui Palazzi, mobilitazioni civili, desiderio di riprendersi la sovranità popolare. Senza farsi sviare da finti propositi. Come quello di cacciare Berlusconi fino a indire una santa crociata, come se tutti i problemi nascessero da lui. Ma Berlusconi è vittima e beneficiario ma non è l’artefice della situazione che risale al torvo declino della politica. Togliendo lui resta intero il problema dell’inefficacia delle risposte politiche, del malaffare politico e anche del malessere italiano. Lui non è il garante, semmai è il mancato riformatore della malapolitica. Un altro falso obbiettivo è quello indicato dai referendari della legge elettorale che usano lo specchietto per le allodole di restituire ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti, istanza sacrosanta; ma poi di fatto puntano a restituire l’Italia al putrido e paralizzante sistema proporzionale. Distruggono il premio di maggioranza e dunque le premesse di stabilità per governi di lunga durata con maggioranze nette e coese (che pure siamo riusciti a traviare, grazie a un parlamento imbottito di gente infida e mercenaria). Il vero obbiettivo che unisce il popolo, da destra a sinistra, è di tagliare le unghie, i profitti e i posti a sedere della casta. Soprattutto ora che si esigono sacrifici da tutti. E selezionare sulla base delle capacità chi può guidare il Paese. L’antipolitica è preziosa se serve come tabula rasa dopo una brutta stagione politica. Allora è distruzione creatrice per generare un ordine e una nuova stabilità, dopo un effettivo ricambio. Ma l’antipolitica è una fase di passaggio, è provvisoria, serve a rigenerare la politica, a re-suscitare le sue passioni, ma scompaginando la sua agenda, i suoi agenti e i suoi canoni. L’antipolitica non può essere un punto d’arrivo ma di partenza. Siamo in una di quelle fasi in cui bisogna favorire la scossa, ci sono vaghe effervescenze e impulsi civili e politici che non trovano alvei di risposta. Un Paese non può restare a lungo aggrappato al suo passato presente. Deve propiziare, cercare, tentare nuove strade.
Quando le riforme non decollano, non funzionano, sono deviate e annacquate, è tempo di ripartire con le rivoluzioni. Mentre il governo porta a termine il suo mandato, occorre dar vita a due anni di scosse d’assestamento. E poi la svolta.Non si lasci l'antipolitica ai Savonarola come Grillo
Il comico e i suoi cavalcano il disagio. Ma le energie di chi non sopporta la Casta servirebbero al Cav per una scossa
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